9 ottobre 2024

da | 9 Ott 2024 | Diario del re del bosco

 

Ogni tanto passo a via Scarpanto, una strada di Val Melania. C’è sul muro di un palazzo la targa che ricorda quattro ragazzi del quartiere, partigiani, uccisi dai nazisti. I nomi: Rizieri Fantini, Antonio Pistonesi, Renzo Piasco, Filippo Rocchi. Mi è stato detto che almeno un paio erano del gruppo politico chiamato Giustizia e Libertà, una formazione politica liberale e socialista. Mi chiedo se vedendo l’Italia di oggi, soprattutto la situazione di Roma, si farebbero ammazzare ancora in nome di certi ideali.

Ma durante la Storia sono stati numerosi i giovani che hanno sacrificato la propria vita per degli ideali politici. Sembra quasi “fisiologico”, naturale il momento della ribellione, più o meno pericolosa e violenta. Io con i miei occhi ho visto miei coetanei con le pistole in mano durante le manifestazioni più dure dei cosiddetti “anni di piombo”. C’ero quel giorno in cui a Roma, sul lungotevere, venne uccisa Giorgiana Masi, una studentessa, una ragazza normalissima che aveva partecipato alla protesta nelle strade del Centro, degenerata in scontri violentissimi tra le frange estreme del movimento e le forze dell’ordine (carabinieri e polizia). Io non partecipavo, come al solito, non prendevo parte. Osservavo, consideravo…. Ad un  certo punto mi ritrovai a Corso Vittorio, all’angolo con piazza della Chiesa Nuova. Vidi alcuni uomini che sparavano. C’era un fotografo vicino a me che scattò delle foto che in seguito documentarono che quelli non erano manifestati ma poliziotti in abiti civili, messi lì con il preciso scopo di creare disordine. Un vecchio trucco del Potere, di qualsiasi tipo di Potere. Infiltrarsi, guidare occultamente, sfruttare le buone intenzioni dei “rivoluzionari”… per dare colpa agli Autonomi, cioè ai manifestanti “estremisti”, di ciò che di grave, quel giorno, si pensava potesse accadere e che puntualmente accadde.

Quegli anni furono veramente atroci. Morti ammazzati, rapimenti, una tensione sociale fortissima. E c’erano, oltre ai terroristi “rossi” pure i giovani di destra, altrettanto fanatici e in alcuni casi autentici criminali.

Poi quella specie di rivoluzione passò senza troppo danneggiare le istituzioni statali. Certo, fece più male che bene. Forse un cauto riformismo in quei giovani miei coetanei avrebbe giovato a qualcosa, e invece no. Bisognava essere innanzitutto comunisti e poi scendere in piazza e scontrarsi con la polizia. Questa era la regola. Da lì al terrorismo ci voleva poco e infatti molti di quei militanti di estrema sinistra si ritrovarono nelle formazioni terroristiche. Era lo spirito rivoluzionario della gioventù che si doveva manifestare, in un modo o nell’altro.

Poi seguirono contestazioni sempre più blande, e si esaurì quella carica di insubordinazione che si trasformò abbastanza pietosamente nel rito delle occupazioni di scuole, stagionali, previste e paternamente sopportate perché i soliti figli inquieti della borghesia doveno vivere il loro quarto di luna rivoluzionario.

Ma i morti delle Brigate Rosse, e degli altri terroristi rossi e neri, se potessero parlare, cosa risponderebbero alla domanda: ne è valsa la pena?

Forse tutto ciò è accaduto sempre, in minore o maggiore misura, in ogni epoca. Penso ai giovani interventisti della Prima Guerra Mondiale, che non potevano immaginare in quale sconsiderata follia si stavano cacciando. E ai giacobini della Rivoluzione francese, finiti a tagliare teste in maniera indiscriminata. Gli esempi potrebbero essere tanti.

Certo ai vecchi rimane la triste consapevolezza, l’inutile ragione.