Il teatro del Santuario

il re del bosco
Se arrivate al paesino di Nemi percorrendo la trafficatissima e rumorosissima via Appia Nuova (non più di trenta chilometri da piazza San Giovanni, quasi al Centro di Roma), e guardate in basso il lago in un imprevedibile silenzio, forse vi ricorderete della visione fiabesca di un dipinto di William Turner (Il ramo d'oro, The Golden Bough), dove un gruppo di giovani danza in cerchio in riva ad un piccolo specchio d'acqua mentre una figura femminile, poco lontano, esibisce un ramoscello, come un segnale convenuto, un segreto messaggio.

Scendendo a piedi, anche il più ostinato dei sognatori dovrà ammettere i cambiamenti sull'ambiente che dai tempi di Turner sono stati prodotti dalla devastazione edilizia. Eppure si rimane colpiti dalla bellezza del paesaggio, e la suggestione è più forte ricordando la stranissima vicenda che per secoli, almeno fino al I secolo d.C., ha avuto questo scenario. 

A pochi metri dalla riva del lago, all'interno del Santuario di Diana (del quale sono visibili i ruderi), uomini si battevano in duello per ottenere una carica religiosa. Chi desiderava subentrare al sacerdote del Santuario, chiamato "re del bosco" (rex Nemorensis), doveva sfidarlo cercando non soltanto di sopraffarlo fisicamente ma di ucciderlo. Ed egli stesso sarebbe stato eliminato, prima o poi: infatti il mandato durava a vita, poiché andava riconquistato ad ogni nuova sfida. In questo modo un omicida, destinato ad essere assassinato, diventava il responsabile dei riti religiosi non per meriti "spirituali" ma in base alla capacità di sconfiggere e sopprimere un avversario. Un cerimoniale soltanto in apparenza assurdo e incomprensibile.

Il "re del bosco" non poteva indebolirsi e invecchiare, perché rappresentava l'energia della natura; perciò morendo non avrebbe soltanto ceduto il posto ad un uomo più giovane e vigoroso ma avrebbe sacrificato il proprio sangue, offrendolo alla dea.

Subentrata ad una arcaica divinità italica, Diana era considerata la protettrice delle donne incinte e dei neonati. Dea solare, dispensatrice di guarigioni e benefici, ma anche lunare e tenebrosa, ispiratrice di malefici infernali: dunque una divinità mutevole, multiforme, difficilmente definibile, contraddittoria sintesi di varie sovrannaturali creature. Abituata a cacciare le prede nel bosco di Nemi accompagnata da Egeria, la ninfa della sorgente vicina al lago, non si faceva scrupolo di punire con la morte gli sprovveduti giovani maschi che s’avventuravano lungo quei sentieri per attentare alla sua verginità: questo dicono le leggende. E quando i Romani cominciarono a identificarla con Artemide, la dea “importata” dalla Grecia che non disdegnava i sacrifici umani, la sua dimestichezza con il sangue aumentò vertiginosamente. Scrive infatti Igino, bibliotecario dell’imperatore Augusto ed autore di una raccolta di miti e leggende dei suoi tempi, che ad un certo punto la crudeltà di quei rituali «divenne sgradita».

Il pretendente al sacerdozio, di solito uno schiavo in fuga che non aveva nulla da perdere e che cercava così di cogliere l’opportunità di migliorare la propria condizione, strappava un ramo di vischio da una quercia e si presentava alla sfida. Il vischio (intorno al lago di Nemi si trova precisamente la specie definita Loranthus europaeus) è una pianta che si sviluppa direttamente dal tronco degli alberi: semiparassita, si nutre della linfa dell'albero che la "ospita" ma è dotata di clorofilla; quindi, realizzando la fotosintesi, possiede una parziale autonomia biologica. Sospesa sul tronco tra la terra e il cielo, dipendente da un altro vegetale eppure in certo modo indipendente, da sempre le viene attribuito un grande significato simbolico. «Il "re del bosco" era la personificazione dello spirito della quercia» scrive James Frazer nel suo celebre e voluminoso saggio intitolato come il quadro di Turner (The Golden Bough), interamente dedicato al brutale duello. Mostrare il ramo di vischio, "il ramo d'oro", significava assumere la responsabilità di rappresentare l’albero più massiccio e longevo, cioè l'energia della natura, per sacrificare a Diana se stesso o l'avversario, provvedendo in tale modo alla fertilità della terra e alla salute del popolo. 

Svetonio, il grande storico romano, testimonia che questa tenebrosa cerimonia era ancora in vigore ai tempi di Caligola, cioè nel I secolo d.C.: giudicando ormai troppo anziano il rex Nemorensis, l'imperatore aveva ordinato ad un giovane schiavo di andare al Santuario di Nemi per commettere l'omicidio rituale e subentrare al sacerdote in carica. (È possibile che il duello sia diventato, in età più tarda, soltanto una "messa in scena" interpretata da attori). Inizialmente (ma è un inizio che si perde nella notte dei tempi) ciò avveniva in un punto imprecisato del bosco intorno alla riva, forse nella radura stessa dove poi fu costruito il Santuario di Diana (tra il V e il IV secolo a.C.). In seguito, all'interno del Santuario stesso, venne edificato il piccolo teatro, sede definitiva del rito.

Ma come possiamo sapere con certezza che il famoso duello per la successione del "re del bosco" si svolgesse proprio in quel luogo? Innanzitutto per semplice deduzione, poiché il piccolo teatro era riservato ai vari riti che si svolgevano nel Santuario; primo fra tutti, di conseguenza, lo scontro mortale tra i due aspiranti sacerdoti. Esistono inoltre importanti prove archeologiche: iscrizioni, raffigurazioni su marmo… reperti che sono conservati (diciamo pure, dimenticati) nei magazzini del Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo (largo di Villa Peretti 2, Roma) e documentati negli archivi della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio. Una conferma di tutto ciò che sto dicendo, molto autorevole, viene dalla dottoressa Giuseppina Ghini, per molti anni responsabile della Soprintendenza ai Beni Archeologici del Lazio, che ha dedicato numerosi saggi al Santuario di Nemi.

Il teatro fu riportato alla luce tra il 1924 e il 1928 ad opera di un archeologo italiano, Ettore Gatti, e subito dopo rinterrato. Alcuni decenni dopo, proprio sopra a quel tesoro archeologico d'inestimabile valore, venne edificata una villetta che tutti possono vedere scendendo dal paese lungo una stradina sterrata, via Tempio di Diana: sono perciò occultati i gradini della cavea semicircolare di circa 28 metri di diametro nella quale sedevano i devoti, le pareti affrescate, i camerini con i mosaici, le nicchie per le statue, il ninfeo…

Non è possibile sapere, attualmente, se l'edificio risulti palesemente abusivo oppure in regola con le leggi urbanistiche mediante condoni e prescrizioni acquisiti nel corso del tempo. Certamente non doveva essere costruito in quel posto. La Soprintendenza ha fatto le denuncie, ci sono le mappe del teatro e dell'intero Santuario eseguite con precisione millimetrica: con le dovute verifiche delle autorità competenti, ciò potrebbe bastare per decidere l'esproprio, procedere alla demolizione e al restauro. 

Ma su questa vicenda, certo clamorosa, regna sovrano il silenzio. Sono alcuni anni che me ne occupo. I giornalisti non vogliono avere noie, non scrivono nemmeno un articolo sul giornaletto della parrocchia, per pigrizia o forse perché non si rendono conto (per pura ignoranza) di quanto sia affascinante e scandalosa la storia del teatro del Santuario; i sindaci di Nemi fanno finta di niente (anche perché se si parlasse di quell'abuso edilizio ne verrebbero fuori chissà quanti altri); e gli archeologi che sono a conoscenza della situazione, lasciano perdere, convintissimi che sarà impossibile demolire la villetta. Le associazioni culturali della zona, che dovrebbero sapere, organizzano visite al Santuario, ma quando i gruppi dei visitatori passano a pochi metri dalla villetta, non c'è mai qualcuno che esclami: «Lì sotto c'è il teatro del duello del "re del bosco"!».

Si tratta di quel genere di miscuglio, tipicamente italiano, d'ignoranza, scetticismo, viltà e amore per il quieto vivere. Eppure non c'è nulla da temere, nemmeno dal proprietario della villetta, persona sicuramente pacifica e soprattutto colta, in quanto da anni si compiace di tenere sotto i suoi piedi il teatro, perseguendo l'abuso edilizio più pregiato e sofisticato della zona. 

Vorrei far presente che nel mondo il duello di Nemi è famosissimo in ragione del libro di Frazer. Non c'è studente universitario delle facoltà di antropologia culturale, soprattutto anglosassoni, che non sia obbligato a leggerlo e a studiarlo; certamente è raccomandato in quelle di archeologia e di Lettere (per non parlare del quadro di Turner, realizzato dall'autore con precisi riferimenti al lago di Nemi e al rex Nemorensis). Molti sarebbero le persone interessate alla notizia, e cioè che ora si conosce il luogo esatto dove si svolgeva il duello del "re del bosco" (anche se nascosto da un edificio moderno). Bisognerebbe che qualcuno glielo facesse sapere. 

Qualche tempo fa sono stati eseguiti degli scavi nel territorio dell'antichissima Crustumerium, scomparsa già nei primi anni del IV secolo a.C., poco fuori Roma, tra via Salaria e via Nomentana, a cura dell'Istituto di archeologia di Groningen (Olanda) in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica di Roma. Ricerca interessante, non c'è dubbio (sono stati portati alla luce tombe e grotte) ma vogliamo paragonare questo sito archeologico al teatro del duello? Perché Crustumerium sì e il teatro di Nemi invece no? Capisco: la villetta. Che riesce perfino ad impedire che semplicemente si conosca l'esistenza di questo importante sito archeologico da scoprire e studiare.

Osservando poi la pianta del teatro ci si accorge di una cosa che conferma e accresce l'intento di riportare alla luce quanto è attualmente sepolto e vietato ad ognuno di noi. La cavea è stata costruita per avere il lago stesso come fondale della scena sulla quale combattevano gli sfidanti e, in seguito, recitavano gli interpreti del rito. Chiunque abbia trascorso una serata estiva in riva al lago di Nemi può comprendere quanto sarebbe meraviglioso assistere a spettacoli nel teatro restaurato.

Oltretutto sarebbe una risorsa turistica, un bene archeologico da aggiungere agli altri già conosciuti e fruibili intorno al lago: il Santuario nel suo insieme, l'antichissimo emissario artificiale, la "villa di Cesare", i reperti contenuti nel Museo delle Navi… Il paesino di Nemi, incantevole, arroccato sul bordo del primordiale vulcano, completa un insieme di grande fascino e bellezza. Per inciso, voglio ricordare le parole che scrive Stendhal nelle sue Passeggiate romane: «Considero il paesino di Nemi il quartier generale della Bellezza in Italia». Una frase che in Italia, a quanto pare, è sconosciuta o ignorata: anche questo è un piccolo "reperto", qualcosa di prezioso da riportare alla luce. Per verificare la citazione si veda il testo originale (Promenades dans Rome, Gallimard 1973, a pagina 658), e poi l'edizione italiana (Passeggiate romane, Garzanti 2004, a pagina 39).

Forse si potrebbe rimediare con poco: può darsi che il teatro non sia sepolto da una colata di cemento ma che costituisca lo scantinato della villetta. Dove ora si trovano, con una certa probabilità, conserve di frutta e bottiglie di vino dei Castelli, scorreva il sangue del rex Nemorensis. Molto suggestivo come ripostiglio.

Nella primavera del 2017 si è voluto scandagliare il fondale del lago di Nemi alla ricerca di una nave romana, la mitica (e inesistente) "terza nave" dell'imperatore Caligola. (Le prime due, reali, negli anni Trenta del secolo scorso furono riportate in superficie e collocate nel Museo delle Navi Romane, ma bruciarono, per cause ancora da chiarire, nell' estate del 1944). Per verificare la situazione del teatro non c'è bisogno delle sofisticate strumentazioni che sono state usate per l'inutile indagine nel lago. Occorre soltanto bussare alla porta e andare a vedere.

Non voglio indignarmi più di tanto; sarebbe perfettamente inutile, lo capisco. Certo, è davvero un peccato perché si tratta di una ricchezza archeologica e culturale inestimabile, sepolta e nascosta ai cittadini di Nemi e di chiunque sia rimasto interessato dalla enigmatica, affascinante vicenda del duello del "re del bosco".

Roberto Varese