Dunque ieri sera sono andato a innaffiare i fiori per Mohammed Hossein Naghadi, l’uomo iraniano che fu ucciso a piazza Elba perché oppositore della dittatura di Khomeini. I fiori erano già stati innaffiati. Allora ho aggiunto soltanto un poco di acqua. Mai che la incontri la persona che non conosco e che condivide con me questo impegno. Arriva sempre prima o dopo.
Allora sono tornato verso casa. Nei giardini di piazzale Adriatico i bambini giocavano. Finalmente sono tornati dalle vacanze. Mi sono rammaricato, come mi capita ogni tanto, di non avere figli. Poi però, ogni volta che mi faccio prendere dalla tristezza per questa ragione, penso alle storie che sento raccontare dai miei amici sui loro figli e allora mi consolo. Vengo a sapere di tutto: depressioni, tentativi di suicidio, ricoveri in ospedali psichiatrici, odio verso i genitori, tossicomania, eccetera eccetera. Allora mi dico che è stato meglio così. Del resto sarei stato un padre problematico, o troppo severo o troppo indulgente, insofferente alle regole della famiglia, capriccioso, apprensivo… Meglio allora la mia strana pattuglia di figli che non sono veri figli ma che sono diventati una specie di figli.
Leone, il primo accolto in casa. Grandi occhioni melanconici. Si chiama Leone perché è un leone, un vero leone della foresta, anche se di peluche. Qui, chi si sveglia prima mette Leone vicino alle tazze della colazione per augurare il buongiorno all’altro. A forza di coccolarlo scherzosamente, parlarci, metterlo sugli scaffali della libreria, in cucina, in bagno, dappertutto, a forza di trattarlo come un bambino è diventato a suo modo un bambino, anche se molto diverso. Se andiamo in campagna, lo portiamo in macchina, sul sedile di dietro.
Tutto ciò accade anche con gli altri: con Pecorella, innanzitutto. Incantevole agnellino di pezza che per sua fortuna non corre il pericolo di essere trucidato e mangiato dai brutali esseri umani. Ci sono grandi vantaggi a non esseri veri.
Poi c’è Carotino, che è il figlio di Carota. Carota era un pupazzetto che tenevamo con noi nella vecchia casa. Il sottoscritto, mettendo a posto la cucina, lo gettò nel secchio dei rifiuti. Fu una grande perdita perché Carota era stato investito di tale tenerezza che… Succede con questi pupazzi: l’anima sta in tutti gli esseri viventi ma un substrato psichico ammanta le cose materiali, soprattutto quelle che rimangono a contatto con gli essere umani (almeno con quelli che l’anima ce l’hanno ancora). Carota stava al centro dei nostri discorsi, lo tenevano fisso sul tavolo in soggiorno, dunque assisteva alle conversazioni mie e di Teresa e dei (rari) ospiti durante pranzi e cene. Lui rimaneva sempre silenzioso, e perciò dimostrava di essere d’accordo. Io adoro questo atteggiamento nei miei interlocutori. E questi nostri figli hanno tante di quelle qualità… Ad esempio, non chiedono soldi. Perché si sa che i figli quando sono piccoli sono degli angioletti, e però quando arrivano all’adolescenza sono insopportabili, spesso. A parte le preoccupazioni continue che danno, ma praticamente quando vedono il genitore gli chiedono soldi e basta, se ne vanno. E Carota non chiedeva mai soldi. Purtroppo sparì e fu un grave colpo per me e Teresa. Cioè, non esageriamo, però veramente ci dispiacque. Poi, imprevedibile fortuna. Un giorno, nei pressi della Stazione Termini, entrai in uno dei tanti negozietti gestiti da immigrati, pieni di vestiti a basso costo, souvenir, cianfrusaglie di ogni genere. Proprio lì, il fatidico incontro. Era un portachiavi. Attaccato c’era un pupazzetto piccolissimo, non so quale specie animale avessero voluto imitare i fabbricanti, fatto sta che aveva una faccetta carinissima e assomigliava un poco a Carota! Incredibile! Era il figlio di Carota, cioè Carotino! Comprai dunque il portachiavi, staccai Carotino dalla catenina che lo legava e telefonai subito a Teresa per annunciare il nuovo arrivo.
Forse colui che col tempo ha acquisito davvero una specie di anima si chiama Cavallino. Un piccolo cavallo azzurro, il colore di Krishna. Infatti adesso è sull’altarino dedicato a Buddha, con candeline sempre accese e l’incenso eccetera. (In giro per casa abbiamo le immagini di varie divinità (o Deva, usando la parola in sanscrito dei testi induisti), poiché crediamo nell’unicità di Dio e nella verità parziale di ogni religione poiché in sostanza diversi sono i percorsi ma unica è la meta. Un po’ quello che diceva Ramakrishna, per intenderci. Come Cavallino sia stato capace di conquistare un simile onore proprio non saprei. Poi sono cose che avvengono tra me e Teresa, assurde e inverosimili e meravigliose, difficile spiegarle.
Gli altri sono i seguenti: Pecorino, che non è un montone ma una piccola pecora femmina. La sua compagna è Pecorina. Poi c’è Scimmietta (che dorme abbracciata al volume della Piccola Dea, sul letto di Teresa), Cavallina sarebbe la fidanzata di Cavallino, però non lo vede mai perché lui sta sempre sull’altare di Buddha… A seguire: Pappagallo, Nello (un asinello) e Scimmietto.
Una bella famiglia, insomma. La sera si dorme in pace, non bisogna accompagnarli a scuola, non irrompono in camera da letto in certi momenti molto privati, non piangono, non si fanno le canne oppure stupefacenti più “pesanti”, non si iscrivono a gruppi estremisti di destra o di sinistra, non diventano cattolici ferventi seguendo l’ottusità di certi gruppi come ad esempio Comunione e Liberazione, non hanno complessi di Edipo, non odiano perciò il padre, non litigano tra di loro fino allo scontro fisico, non diventano ultrà romanisti e peggio ancora laziali, non ti mettono in ansia perché tardano a rientrare la notte e soprattutto, come ho già detto, non chiedono continuamente soldi.
A Natale li portiamo sulle Dolomiti, tutti quanti. Sul sedile di dietro della mia macchina ci stanno. E io dirò: «Ecco, fate i bravi, mi raccomando. E tu Carotino non pretendere di avere sempre ragione!». E Teresa: «Ha preso da papà…».
Per caso, se un mattino all’alba
puoi figurarti il cielo a scala
tutto abitato da sapienti mondi,
e nel giardino udire piante
che riflettono o pietre sul sentiero
intelligenti o spiriti che insegnano
nell’aula di una selva, allora
làsciati pur prendere per pazzo e
gètta giù i tuoi libri dalla rupe.
(Gian Piero Bona)