Ah, ecco quello che sono. Quello che sono sempre stato e che avevo dimenticato perché mi sono perso. Non ho fatto altro che disperdermi, dissolvermi, svanire, allontanarmi da ciò che avrei potuto essere ma che non ero, e non sono.
Proprio da quel punto lì. Me lo ricordo benissimo. Fu uno degli episodi che posso citare con maggiore chiarezza. C’era la strada lungo una valle delle Dolomiti, che andava dritta da Cavalese a Predazzo. Io ero in un piccolo albergo di Ziano. Spesso, di sera, prima di andare a dormire, aprivo la finestra della mia camera e vedevo le automobili che andavano in fila, sotto le montagne, dentro il silenzio della notte. Ma lontano erano quelle automobili dall’albergo dove stavo io. Come un fruscio si sentiva. Ecco, quello era uno di quei momenti che ricordo meglio, ed ero un bambino. Da lì mi sono poi allontanato, per disperdermi.
Ma una canzone dei Beatles mi riporta con grande precisione a un altro di quei momenti. Era una festa di compleanno. Paola, ragazzina che non so come facesse ad essere già così femminile pur avendo appena tredici anni. Ma forse sono io a ricordarla così. Il mio primo bacio. La sua pelle sotto le mie mani che la tenevano stretta ai fianchi mentre ballavamo Let it be, che era, diciamo così, un lento che si poteva ballare in coppia.
Ecco, io ascoltando adesso questa canzone ritorno tutto intero a quello che ero, e da cui mi sono allontanato. Nulla è cambiato. L’amore in fondo è tutto lì. Quelle erano le prime impressioni e quelle sono rimaste se ancora spira il vento caldo della vita.
Mi accorgo però che non posso descrivere il nucleo vero di quelle sensazioni, ma solo accennare alla superficie di esse. L’odore, la pelle sotto le mie mani, il buio, le persone che ballano vicino a me.
Capisco che arrivare al centro di tutto questo significherebbe arrivare veramente alla verità su me stesso, e allora ciò significherebbe giungere alla meta di tutta una vita, e allora non si avrebbe più bisogno di niente, tanto meno di scrivere. Forse scrivere vuol dire rimandare eternamente, girare intorno a uno di quei momenti, avvicinarsi e poi tornarci di nuovo e trarre da questo andare e tornare nuove energie per potersi ancora librare in aria, cadere, per rialzarsi e tentare ancora il volo, ancora e ancora.
Mi sembra che, almeno questa mattina, Let it be sia il canto della mia liturgia personale. La mia religione non ha preti, né chiese dove entrare a pregare. Ho una speranza che è comune a tutti i fedeli di tante altre religioni del mondo, cioè salvare la mia anima.
Mi distendo sul letto, chiudo le luci. Mi avvicino a quello che ero, mi dissolvo, mi allontano, mi ritrovo. Ascolto ancora questa canzone. Giusto, lascia che sia.