Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere, scrisse Ludwig Wittgenstein nel suo celebre saggio intitolato Tractatus Logico-Philosophicus. Dunque non si può parlare di niente, o quasi. Mi sembra giusto, perché in effetti non c’è cosa al mondo che si possa conoscere veramente. Tanto meno si può facilmente polemizzare, accusare, inveire. Io me ne rendo conto, però lo faccio innanzitutto per sfogarmi e soprattutto per divertirmi. E poi, come è possibile vivere accettando che tutto sia uguale a tutto, senza alcuna distinzione?
Per quanto riguarda la letteratura, che è stato e forse in una certa misura è ancora il mio mondo, penso che esprimere un giudizio fondato e convincente sia davvero difficile, forse impossibile.
Tutti sono diventati scrittori, poeti. Non c’è sostanziale differenza tra scrittori veri, riconosciuti tali dalla critica, che pubblicano in case editrici prestigiose e gli altri, i dilettanti, i cattivi scrittori e poeti. Con l’avvento di internet ogni differenza di potere e di qualità è stata annientata. Chi ha uno sguardo lucido può verificare facilmente che abita a Bari, per dire una persona che vive in provincia, che pubblica i suoi versi in rete e in libri pubblicati a proprie spese, potrebbe benissimo far parte della celebre “collanina bianca” di poesia della casa editrice Einaudi, e viceversa il poeta apparso nella “collanina bianca” potrebbe mettere i suoi versi in Rete e pubblicare a proprie spese, e non ci sarebbe in tutto questo nulla di sbagliato, di assurdo e d’insignificante. Forse bisogna avere i contatti giusti. La stessa cosa per la pittura. L’autore di quadri che si possono definire opere dell’espressionismo astratto, che vive, mettiamo, non a Bari ma a Tor Bella Monica, estrema periferia di Roma, produce le medesime, identiche opere dell’espressionista astratto che vive al quartiere Greenwich Village di New York, solo che il primo non conosce nessuno e sta nella più profonda miseria in un’abitazione con camera da letto e cucina, mentre il secondo ha il suo studio open space, il suo gallerista, fa le mostre e vende quei quadri a un prezzo altissimo conducendo una bella vita.
Le scuole di scrittura. Una moda importata dall’America, venti o trenta anni fa. Ce ne sono a decine soltanto a Roma. Ma che si studia in quelle scuole, ancora non l’ho capito. Qualche trucco della narrativa e forse pure della poesia? Ma quelli si capiscono scrivendo, leggendo. Mi sembra una visione un po’ meccanica, professionale, per una letteratura alla portata di tutti e per tutti. Certo, io ho un’idea diversa della letteratura, della poesia. Non ce lo vedo Sandro Penna partecipare a un corso di scrittura come allievo quando era un ragazzo, e come dicente più tardi. «Nessuno mi può giudicare», diceva Caterina Caselli, che evidentemente aveva letto Ludwig Wittgenstein. Ho un paio di amici che ricevono uno stipendio per “insegnare” a scrivere. Da loro ci andrei, forse, ma non ho voglia di spendere soldi, e preferisco rubare i trucchi quando li vedo. Ma per gli altri, devo dire di stare attenti a non abusare dell’ingenuità e dell’ignoranza di certe persone perché potrebbero incorrere nel reato di “circonvenzione di incapace” (articolo 643 del Codice Penale).
Ma perché oggi sto scrivendo queste cose? Sono noiose e anche un pochino tristi. Io devo scrivere questo Diario senza pensare a certe faccende. Lo scrivo per Teresa, per Cristina, per Angelo, per le migliaia, ma che dico centinaia e forse milioni di persone che da qui a poco lo leggeranno, non solo in questo piccolo pianeta ma nel pianeta della galassia più lontana, in una di quelle civiltà extraterrestri che certamente esistono in questo infinito universo, oppure per nessuno perché magari anche Teresa si stancherà di leggere. Non importa. Scrivo per me stesso. Se poi qualche anima gemella leggerà e condividerà ciò che scrivo, tanto meglio.
Ora esco, vado a innaffiare i fiori per l’eroe iraniano. Chissà, forse stasera incontrerò finalmente la persona misteriosa che le innaffia quasi ogni giorno ma che non ho mai conosciuto.