Quando provai a mettere la testa a posto (molti anni fa, perché oramai ho rinunciato), mi presentai alla sede italiana di un’agenzia pubblicitaria multinazionale, la Saatchi&Saatchi, una delle più grandi o forse la più grande agenzia del mondo, era una mattina di giugno e già a Roma il sole splendeva forte, sembrava già piena estate e io ero vestito leggero ed elegantissimo, m’ero messo perfino la cravatta e avevo salutato mia madre sull’uscio notando la trepidazione sua nel vedermi finalmente deciso a cambiare strada, a lasciar stare quella vecchia per intraprendere la nuova dritta ben asfaltata strada di persona perbene e a posto, oh sì, come prima o poi lei pensava che avrei fatto, sposarmi, mettere su famiglia, quelle cose lì, lavorare otto ore al giorno e tornare a casa e trovare mogliettina adorante e marmocchi, e ritrovarmi così imprigionato in un piacevole sogno che però può essere anche un incubo, dipende dai casi, può anche finire in omicidio, droga sparata nelle vene in bagno per poter sopportare il televisore sempre acceso, i suddetti marmocchi, la suddetta mogliettina che uno finisce magari per odiare perché potrebbe essere sostanzialmente una gretta donna da quattro soldi… fatto sta che mia madre stava lì sull’uscio quella mattina a sperare ciò che tutto sommato sperano tutte le madri a meno che non siano madri icolte, intellettuali, “progressiste”, che so, quel tipo di donne che hanno superato certe impostazioni tradizionali della famiglia, e allora manco ci badano che i figli crescano bene, puliti, educati, macché, madri che se ne fregano della loro educazione, e dicono ai figli frasi come «tu sei libero, tu devi essere te stesso…», cose del genere, giustissime, in teoria, sapete, frasi che vengono dette da quelle donne lì, madri dal passato frikkettone, figlie dei fiori, “lotta continua”, un po’ svirgolate diciamo, donne meravigliose che però spesso si ritrovano con figli che sono più svirgolati di loro, e infatti da questo problema non se ne esce, o uno riceve una educazione rigida e pure sessuofobica veramente orribile e dannosa oppure peggio ancora ti ritrovi libero e solo e perduto mentre magari loro, le madri intellettuali e magari artiste, stanno in camera da letto a farsi le canne, non si scappa, è così, ne ho visti di casi del genere, e mai che uno cresca in una casa con madre e padre mentalmente equilibrati, macché, siamo tutti fregati, più o meno… poi certo esistono anche le persone fortunate ma secondo me sono una ristrettissima minoranza… ma tornando a quella mattina, avevo salutato la trepidante madre e mi ero avviato e mi ero presto seduto davanti a un cosiddetto direttore creativo, un tipo simpatico, che vide gli slogan pubblicitari che avevo preparato in un quadernetto come prova, mi aveva ascoltato un po’ ragionare intorno alla mia esistenza disastrata che intendevo assolutamente risanare e inquadrare e regolare e che poi mi aveva detto dopo un lungo silenzio: “Mi piaci! Vieni qui domattina!”.
Potete immaginare miei cari lettori la mia felicità uscendo dal palazzo dov’era la sede della famosissima agenzia Saatchi&Saatchi, proprio davanti a Castel Sant’Angelo, fondata e diretta dai due fratelli Saatchi, libanesi emigrati a Londra dove avevano avuto un clamoroso successo con la pubblicità diventando miliardari, e perciò quasi danzando per la strada tornai a casa e dissi a mia madre che finalmente avevo un lavoro, un vero lavoro, che mi avrebbe finalmente permesso di entrare o per meglio dire rientrare nel consorzio umano e non necessariamente per stare completamente nei ranghi sposandomi eccetera eccetera ma comunque ricominciando una vita decente, quella che fanno gli altri, triste o felice che fosse.
Così il giorno dopo ero lì e iniziai ad occuparmi dei pannolini assorbenti, biancheria intima femminile (il prodotto da me preferito perché le foto di quei reggiseno e mutandine e calze eccetera mi facevano sognare), computer, telefonini, detersivi, insomma ogni sorta di merci che si doveva vendere ad ogni costo, anche facendo leva sui più bassi istinti e sulla stupidità degli esseri umani, sugli abietti sentimenti d’invidia sociale, d’ignobile rivalsa, di orrendo moralismo e perbenismo. L’automobile doveva essere venduta facendo leva sull’istinto della sopraffazione, tanto per fare un esempio, bisognava inventare uno spot che facesse vedere un bel giovane alla guida di una nuova fiammante automobile lungo una strada di città, e far vedere che la gente e soprattutto le donne e meglio ancora le bellissime donne si giravano a vedere la nuova automobile, cioè lui alla guida di quella automobile, e dunque non doveva essere troppo bello il ragazzo alla guida perché altrimenti si sarebbe pensato che le donne e soprattutto quelle bellissime si voltassero per vedere lui e invece dovevano vedere lui ma soltanto perché era alla guida di una macchina costosissima, cazzate in sostanza, che s’imparano in un momento, e però i colleghi dell’agenzia mi stavano lì a martellare con il fatto che il ragazzo doveva essere sì abbastanza carino ma con la faccia non troppo intelligente perché l’eventuale compratore della macchina doveva identificarsi con quello lì, il quasi carino e non troppo intelligente, e ancora meglio se avesse dato l’impressione di essere un perfetto imbecille, perché altrimenti l’eventuale compratore non avrebbe mai speso tanti soldi per un bene materiale immediatamente deperibile come un’automobile costosissima, non sarebbe stato così completamente fesso da spendere ad esempio 420.000 euro per la Rolls-Royce Cullinan Black Badge, una macchina enorme, impossibile da guidare nei centri cittadini, inutilmente accessoriata e divoratrice di benzina, se non fosse stato condizionato non sarebbe stato così completamente cretino da comprarsi quella macchina attraverso uno spot, eh no, il ragazzo alla guida doveva essere il ragazzo quasi carino e quasi deficiente della porta accanto che magari non capisce un cazzo di nulla e però capisce che per rimorchiare qualche mezza scema e soddisfarsi sessualmente e affettivamente e fare colpo anche sugli amici deve correre a comprarsi la nuova Rolls-Royce Cullinan Black Badge o un’altra automobile del genere.
Tutto ciò mi è tornato in mente l’altra sera guardando in televisione lo spot di una nuova automobile, non mi ricordo la marca.
Me ne stavo in cucina a prepararmi gli spaghetti aglio e olio che sono il mio piatto preferito, veramente una cosa buona da preparare e che fa passare ogni tristezza, ogni dolore psicologico ed esistenziale, e però bisogna saperli preparare perché altrimenti non serve a niente, ti ritrovi a mangiare una sbobba informe e allora è inutile, si ricade nei brutti pensieri, perciò bisogna conoscere bene l’arte di rosolare l’aglio, e cioè cuocere quel poco che basta i pezzetti di aglio a fiamma bassa e aspettare pazientemente che i pezzetti di aglio si colorino come devono colorarsi, piano piano di un rosa appena accennato, e a quel punto si mette il prezzemolo e lo si fa friggere un poco, ecco tutto, e poi quando gli spaghetti sono pronti (io preferisco i Barilla n°3, tanto per fare pubblicità gratuita, anche se in effetti la Barilla potrebbe pagarmi questa pubblicità che faccio, come del resto dovrebbe pagarmi la Piaggio per tutta la pubblicità che ho fatto per la Vespa nel corso di tutti questi anni e nel corso di tutti i miei libri scrivendo pagine e pagine sulle mie scorribande in giro per la città sia nella Piccola dea sia nel Re del Bosco ancora da riscrivere, ma lasciamo perdere) e insomma quando gli spaghetti sono pronti tu li devi gettare nel tegame dove hai preparato il condimento per cuocerli a fiamma bassa per pochi istanti, e così te li mangi e sei felice o abbastanza felice. Insomma me ne stavo lì in cucina a prepararmi gli spaghetti aglio e olio per reagire alla tristezza dell’esistenza ma anche per nutrirmi semplicemente quando voltai lo sguardo e vidi la faccia di uno che guidava un’automobile nuova fiammante in un spot televisivo.
Ora c’è da dire che la cosa che mi ha sorpreso veramente è stata l’evidente stupidità manifestata da quella volto. Perché era veramente stupido, direi orrendamente stupido, faceva quasi paura e allora mi è rivenuta in mente tutta la storia della pubblicità, dico la mia vicenda personale, quelle lunghe giornate di lavoro, di quel lavoro che effettivamente si poteva considerare “creativo” se per “creativo” s’intende far funzionare il cervello sperando che ne esca una buona idea o perlomeno un’idea decente, infatti io coi miei colleghi stavo lì, in uno stanzone a cercare di scrivere gli slogan pubblicitari che nel gergo pubblicitario si chiamano headlines e a scrivere soggetti e sceneggiature per gli spot televisivi. Era una vita dignitosa, senza alcun dubbio, anche se i rapporti tra colleghi non è che fossero idilliaci, anzi spesso erano brutti rapporti, gelosie, invidie di ogni genere, insomma tutto il campionario delle puttanate che gli esseri umani amano scambiarsi l’uno con l’altro appena si mettono in relazione e soprattutto quando si ritrovano in un ambiente di lavoro, e però mi alzavo presto la mattina, mi sbarbavo, facevo la doccia, salutavo mia madre sull’uscio di casa come avrei potuto salutare una moglie e in effetti mia madre era una specie di moglie a quei tempi, poi prendevo l’autobus convinto di essere diventato finalmente come gli altri, un uomo capace di guadagnarsi il pane quotidiano senza essere costretto ad andare in giro a chiedere soldi in prestito o a cavarmela con piccoli lavori marginali, uno dunque che sarebbe riuscito a cavarsela nella vita, a sfangarla come si dice, a vivere e dunque a morire come gli altri, a marcire in quegli uffici enormi, perché in fondo si marciva lì dentro, diciamo la verità, si doveva rimanere alla Saatchi&Saatchi per almeno otto ore al giorno occupando il proprio cervello e di conseguenza parte della propria anima con i problemi riguardanti pannolini assorbenti, lavastoviglie, telefonini, computer, merci di ogni genere che possono essere utili ma soprattutto servono a procurare soddisfazioni momentanee e piaceri passeggeri ma non hanno una relazione benefica con l’anima poiché la cosiddetta anima non ha alcun bisogno di essere lusingata e infiocchettata e rivestita elegantemente ma vuole librarsi su ogni cosa, vuole giocare con gli oggetti ma senza desiderio di proprietà, vuole essere libera di manifestarsi la sua natura, e soltanto nell’arte, nella vera arte essa trova la sua dimensione autentica perché l’anima cosiddetta si manifesta e trova se stessa in letteratura, pittura, musica, e non nel surrogato ambiguo della pubblicità, che utilizza il bello e qualsiasi emozione per vendere merci. Nella pubblicità le anime dei cosiddetti creativi corrono il rischio di marcire, e ciò avviene assai spesso nel mondo del lavoro che diventa facilmente il mondo dell’alienazione, come diceva un mio vecchio amico che ha il cognome che finisce per X, dunque se uno vuol lavorare deve essere pronto a veder marcire almeno un pezzetto della propria anima, questo lo so adesso e però lo intuivo in quelle lunghe giornate trascorse alla Saatchi&Saatchi e che mi sono tornate alla mente voltando lo sguardo ed osservando stupito la faccia idiota di quell’attore che stava impersonando un idiota alla guida di un ultimo modello di una Mercedes o Fiat o Volkswagen, non ricordo quale azienda automobilistica fosse, non importa, importa soltanto che aveva la faccia ferocemente idiota quell’attore, ma talmente idiota e da deficiente che sono rimasto lì a rimuginare e infatti il mio aglio ha rischiato di bruciarsi.
Le cose evidentemente sono peggiorate dai miei tempi, pensai dunque gettando gli spaghetti Barilla n°3 nel tegame dove c’era il condimento e cioè l’aglio e il prezzemolo e l’olio e facendo allora cuocere gli spaghetti stessi per far prendere il sapore e cuocere ancora gli ingredienti, e peggiorate parecchio perché quella faccia voleva dire che i maghi della pubblicità avevano deciso che per identificarsi il consumatore ha bisogno ormai di vedere qualcuno che sia al suo stesso livello e questo livello adesso è chiaramente bassissimo perché la faccia da imbecille che avevo intravisto con sgomento poco prima, al momento cioè della cottura iniziale dell’aglio che aveva perciò rischiato di bruciarsi, era la faccia di uno che ormai è stato rovinato da decenni di consumismo sfrenato, di neocapitalismo, di vuoto interiore, di disperazione esistenziale, uno che non ha più nulla da chiedere alla sua vita, che ormai non può che comprarsi l’ultimo modello della Volkswagen, della Fiat o peggio ancora della Rolls-Royce Cullinan Black Badge, uno che perciò rappresenta efficacemente la tragedia umana ma innanzitutto la tragedia italiana, perché quella era senza dubbio una faccia italiana se pur imbecille, e perciò esprimeva desolazione, noia, disgusto di una situazione nella quale le persone in questa da me amatissima penisola sono costrette a vivere, senza più un briciolo di speranza, di gioia, di vera autentica gioia di vivere, e sarà la crisi economica, e sarà che i valori della famiglia e della religione e della convivenza civile sono caduti a pezzi senza essere sostituiti da nient’altro che da un colpevole e nocivo e perdente individualismo, e sarà che anche a livello politico ci si ritrova tutti ad assistere allo scontro il più delle volte finto e di maniera perché giocato ormai sul filo della polemica giornalistica tra una Destra che accoglie e mescola ipocritamente i fantasmi del consumismo sfrenato, della cultura televisiva schifosissima da Grande Fratello, della continua distruzione del territorio con i valori che dovrebbe difendere, i valori tradizionali, Dio Patria e Famiglia, e questa mescolanza ignobile è concepita per pura convenienza politica, i post-fascisti, i neoconservatori si non messi proprio con coloro che hanno distrutto quegli stessi valori, davvero ormai estinti, e dall’altra parte c’è una Sinistra ammaccata, impoverita, impotente, che ha perso la sua identità ideologica e che ora si ritrova a vivacchiare con i brandelli di questa defunta ideologia, un miscuglio abbastanza triste e inutile e deprimente di idee “politicamente corrette”, la parodia della democrazia, la parodia della difesa dei lavoratori, la parodia, la dignità delle minoranze eccetera, e questa è una cosa tristezza e disperante per tutti coloro che avvertono il disagio per questa mancanza di speranza e il vuoto psicologico e ideologico e anche politico ed è per questo motivo che quella faccia nello spot mi ha sgomentato tanto, così pensavo finendo di mangiare gli spaghetti, e d’un tratto ho compreso che mi ero tanto spaventato perché quella faccia esprimeva la mia disperazione, la mia desolazione. la mia stupidità, Io vedevo in quella faccia ciò che senza rendermene conto ero diventato. Ero io quell’imbecille.