Sembra, per certi aspetti, un racconto di Henry James. Qui vicino casa, cioè vicino a piazzale Adriatico, esattamente a piazza Elba, c’è una targa fissata a un albero che ricorda l’omicidio di Mohammed Hossein Naghdi, un militante della resistenza iraniana all’orrenda dittatura teocratica dell’ayatollah Khomeyni, avvenuto il 16 marzo 1993. Quando venni ad abitare da queste parti notai questa targa. Sotto c’era una specie di canestro rettangolare, un portafiori, vuoto, completamente abbandonato, senza traccia di piante. Allora comprai una piantina, mi pare di piccole rose, e l’appoggiai sul canestro.
Ricordavo bene il fatto e anche la persona assassinata. Guarda caso abitavo, all’epoca dell’omicidio, vicino a lei, al rione Monti, in via del Boschetto. Sapevo di lui. In quegli anni il rione Monti era ancora “popolare”, un vero rione di Roma, Tutti conoscevano tutti, c’era una specie di comunità e le notizie circolavano. Del resto era chiaro che quell’uomo svolgesse un lavoro pericoloso. Ogni mattina arrivava una volante della polizia che seguiva la sua macchina guidata da un autista fino al suo ufficio in piazza Elba. (Per la cronaca, la volante a metà strada, sulla Nomentana, tornava indietro lasciandolo solo… I soliti “misteri” italiani). Un killer gli sparò alla testa appena arrivato a destinazione con una mitraglietta Skorpion.
Il Comune di Roma, poco dopo il fatto, ricordò questo eroe della libertà con la piccola targa. Un eroe dimenticato, evidentemente. Io però ho messo la piantina e raddrizzato il canestro.
Un paio di mesi dopo, passando per caso vicino all’albero con la targa, vidi che qualcuno aveva aggiunto una pianta alla mia. Rimasi stupito e contento. Allora esisteva una persona che la pensava come me e che aveva recepito un mio implicito suggerimento.
La storia non finisce qui, anzi inizia proprio adesso, anche se non c’è molto da raccontare. Da almeno tre anni, io e questa persona, rimasta sconosciuta, ci alterniamo per occuparci delle piantine. Se le rubano, uno dei due subito va a comprarne un’altra. E poi ci alterniamo per innaffiare e curare i fiori. Mai ci siamo incontrati. È capitato una volta che le piantine sono rimaste senza cura da parte dello sconosciuto (o sconosciuta): io vado di sera a innaffiare, l’altra persona di mattina. Io con le dita mi accorgo se le piantine sono state innaffiate dall’umidità della terra nei vasi. Se sono asciutte, la mattina non sono state bagnate. Per una settimana intera la terra delle piantine era secca, lui (o lei) non si era fatto vivo (o viva). Che cosa poteva essere accaduto? Una malattia, un viaggio? Non credo una dimenticanza. Mi stavo quasi preoccupando. Poi una sera, finalmente, trovai la terra umida. La misteriosa persona era tornata.
Ogni sera vado all’appuntamento con il morto ammazzato. Ogni sera mi domando chi sarà questa persona che con me si cura delle piantine e del ricordo di Mohammed Hossein Naghdi. Strano, io mi trovo bene soprattutto con i morti e con le persone che non ho mai visto in vita mia. Che volete farci, sono fatto così.
Ieri, 3 agosto, mi ha telefonato dopo tanto tempo la mia amica Monica, attrice e scrittrice. Le ho detto di questo sito e del Diario. Ha detto che leggerà. Bene, a questo punto ho due lettori, anzi lettrici, Teresa, la mia amica del cuore, e Monica. Lettrici eccellenti, persone intelligenti e sensibili. Ho mandato messaggi anche a Emanuele, Andrea, Fabrizio e Gianluca e sono sicuro che leggeranno anche loro. Cosa voglio di più. Pensavo che soltanto Teresa avrebbe letto. Forse entro un paio di giorni avrò cinque o sei lettori. Un successo clamoroso, inaspettato.