ROMANZI IN MINIATURA
Siddharta di Hermann Hesse
Non i riti della vecchia religione potevano appagare Siddharta, il giovane figlio del brahmino. Egli desiderava la Verità tutta intera. Nemmeno le rinunce sterili degli asceti lo attraevano. Perfino su Buddha aveva da ridire: la sublime Illuminazione non si può comunicare, diceva.
Allora il cercatore di Assoluto capovolse le dottrine che gli avevano insegnato: sprofondò nel mondo, in mezzo ai commerci e ai desideri carnali degli uomini-bambini, cioè nella comune esistenza.
Ma ciò non poteva durare a lungo. Presto Siddharta ebbe di nuovo sete di Verità. Così cominciò a domandarsi: com’è possibile trovare se stessi rimanendo lontani sia dal pensiero non veritiero che dall’azione sudicia e inutile, in una condizione neutra, tra cielo e terra?
A questa domanda rispose Vesudeva, un semplice barcaiolo: bisogna guardare dentro se stessi, disse, per imparare ad ascoltare. È lì, nel proprio cuore, la Verità.
Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mister Hide di Robert Luis Stevanson
L’avvocato Utterson, durante la solita passeggiata domenicale, venne a conoscenza di uno spiacevole e misterioso episodio: un certo Hide, gli dissero, aveva percosso una bambina ed era stato visto entrare nello studio del dottor Jekyll, noto scienziato. Purtroppo il nome di quell’abietto individuo non era nuovo all’avvocato: egli custodiva il recente testamento di Jekyll, suo cliente e amico, nel quale Hide era disegnato come unico erede.
Un uomo fu assassinato e tutti i sospetti caddero su Hide. «Non lo vedrò mai più!» promise il dottore ad Utterson che era andato a trovarlo, preoccupatissimo.
Lanyon, un altro scienziato, si ammalò gravemente e ciò sembrava avesse a che fare con Hide, e anche con Jekyll. La faccenda diventava sempre più strana. Poole, il maggiordomo, assistendo all’andirivieni di Hide presso lo studio del padrone ed ascoltando urla e lamenti in continuazione, chiamò Utterson e insieme sfondarono la porta.
Hide giaceva in terra, morto. Accanto a lui due lettere, scritte da Lanyon e da Jakyll.
«Una sera» scriveva Lanyon, «seguendo le istruzioni del dottor Jekyll contenute in un biglietto, prelevai alcuni ingredienti dal suo studio e tornai a casa. Qui, a mezzanotte, fui raggiunto da una persona in preda al panico: preparata in fretta una fumante pozione, la trangugiò davanti ai miei occhi. Quel che accadde mi ha fatto ammalare e sento la morte vicina… L’uomo si trasformò nel dottor Jekyll!».
La confessione di Jekyll fu senza reticenze. «Ho voluto separare il Male e il Bene mediante una potente droga» si leggeva sull’altro foglio, «e ora, per colpa della mia presunzione, sono perduto. La soluzione è nel suicidio: sì, uccidere Hide, porre fine al mio nefasto esperimento».
I fratelli Karamazov di Fëdor Dostoevskij
Il vecchio Karamazov, di cui voglio raccontare la storia, era un dissoluto e anche un violento. Un giorno fu assassinato, ma da chi? Forse dal figlio Dmìtrij, suo rivale in amore? Quando iniziò il processo, pochi ne dubitavano.
Intanto Ivàn, fratello dell’accusato, professava il suo ateismo: se Dio esiste, diceva, tutto è possibile. Era lui il vero colpevole. Smerdjàcov, il servo epilettico, disorientato da quelle idee, le aveva messe in pratica.
Dmìtrij infine venne condannato ai lavori forzati. Smerdjàcov s’impiccò.
Aljoša, il più giovane dei fratelli Karamazov, seguendo i consigli del monaco Zòsima, lasciò la pace e la solitudine del convento per tornare tra gli uomini, bisognosi di purezza e tenace compassione.
Luna di fiele di Pascal Bruckner
Eravamo felici, io e Béatrice. Sposati da poco, avevamo deciso d’imbarcarci su quella bella nave da crociera, verso Oriente. Volevamo andare verso il sogno, il mistero.
A bordo c’era anche un invalido, uno strano tipo, accudito da una donna giovane e bellissima, Rebecca.
Io e Rebecca ci siamo amati in maniera sconvolgente, caro mio. In principio sprofondammo nell’abisso dei sensi e in quello dell’amore sadico e masochista (esiste un altro genere di amore?). A causa di uno dei miei eccessi verbali, un giorno lei perse la pazienza e, per vendicarsi, mi spezzò la colonna vertebrale, riducendomi in questo stato. Amico mio, vedo che la desidera fortemente. Prego, la prenda se vuole.
Ma era soltanto un perfido gioco. L’invalido, sulla sua carrozzella, muoveva i fili di noi burattini: Béatrice s’innamorò di Rebecca, e io pure. Alla fine quel pazzo versò acqua bollente sul volto di Rebecca e quindi accusò me.
Conclusione: mia moglie mi lasciò e io rimasi a marcire in cella. Il nome del carcere turco in cui sono rinchiuso? Sàrk, che significa Oriente.
Il piccione di Peter Süskind
Aveva un solo scopo: tenere alla larga gli esseri umani e vivere in pace. Ma un piccione, uno stupido e viscido uccello, d’improvviso travolse e distrusse la sua vita. Una visione agghiacciante. Piume ed escrementi sparsi sull’uscio di casa. E poi quell’occhio circolare, spalancato sul proprio abisso, che lo fissava.
Si recò al lavoro. Su e giù per otto ore davanti a una banca, a fare finta di difenderla, con tanto di pistola: un compito facile e ripetitivo, ideale per lui che aveva scelto quella quiete ostinata. Ma ora c’era il piccione.
Di notte si rifugiò in albergo. Si rese conto di non avere speranze.
Ci fu un temporale, quella notte a Parigi. La pioggia lo calmò quel tanto che bastava a farlo tornare a casa, all’alba. Lungo la strada si fece coraggio. Non c’era alternativa, doveva affrontare il piccione.
Quando giunse davanti alla sua porta, vide con sollievo che tutto era di nuovo a posto, pulito e ordinato. Del piccione nessuna traccia.