Piantare un seme nel giardino del Presidente ed aspettare pazientemente che germogli diventando una pianta rigogliosa che cresce, cresce, cresce fino ad arrivare al tetto del Quirinale per cingerlo infine tutto quanto con foglie d’alloro e radici rampicanti. Ma è una pianta allucinogena, molto simile al Peyote, che produce visioni prodigiose. Il Presidente stesso, dopo averla fatta essiccare, la porta in un fagottino alla seduta del Governo, giù a Palazzo Chigi, poco lontano. Tira fuori le cartine e dice: «Adesso fumiamo, amici, e ci facciamo passare la malinconia del non contare in fondo nulla poiché inseriti in un gioco internazionale più grande di noi, essendo diventati noi piccini piccini, povera Italia!». Infatti lo sappiamo tutti come va a finire: i ministri del Governo cantano in coro, ebbri, e almeno per un poco spensierati e felici le canzoni degli alpini e quelle dei marinai e quelle dei metalmeccanici e pure quelle dei regnanti della Thailandia senza dimenticare le canzoni dei minatori del Sudafrica e tantomeno quelle delle mondine della Val Padana e pure quelle delle suocere di Rovigo e le canzoni quasi gridate nei cortei studenteschi da quelli di Potere Operaio e tempo addietro dai socialisti di Pietro Nenni, cioè all’inizio degli anni Sessanta, quando il Partito Socialista Italiano non era fatto da pappamolle e contava qualcosa, e per finire le canzoni da caserma però da non confondersi, per carità, con quelle delle educande dei collegi svizzeri gestiti dalle suore ovviamente svizzere… e se c’è un poco di confusione in tutto ciò non importa un fico secco perché qualsiasi cosa, compreso il fico secco, potrà servire a far passare ai nostri ministri il senso d’inutilità, la disillusione, la perdita di senso d’ogni cosa presente, passata e futura. Sarà evidente tale condizione psicologica, si vedrà da mille chilometri. (Sono povere persone, in fondo, da compatire, da aiutare, da adottare, da coccolare).
Il ministro della Pubblica Istruzione sale sulla terrazza di Palazzo Chigi, rimane in bilico, piangendo a dirotto.
Un passante, sulla strada, apre l’ombrello per non farsi bagnare dalla pioggia di lacrime, pensando tra sé e sé: «Strano, piove con il sole!».