Tempo fa hanno dato il premio Nobel al grande, meraviglioso Bob Dylan, per le sue canzoni. Soltanto che le canzoni, per quanto poetiche, non sono poesia. Dunque ora sappiamo che i tanto potenti accademici di Stoccolma non capiscono nulla di poesia. Bene, è confortante. Almeno non leggerò mai gli scrittori premiati, cioè li leggerò indipendentemente dal premio. Come il premio Strega, ad esempio. Mai letto un libro premiato. Soltanto una volta, perché aveva vinto un mio amico che nel suo libro aveva parlato di me, per una piccola cosa. Allora ho scoperto che era pure un bel libro, però questo fatto non c’entrava niente col fatto di aver ricevuto il primo premio allo Strega. Ma davvero c’è ancora gente che compra un libro perché magari sta nella cinquina dei libro finalisti? Come no, tantissima gente. Ci sono tutti quelli che girano attorno al premio, i votanti, i giornalisti, gli editori… e vabbè, bisogna pure campare.
Certo, adesso, dopo avere letto queste righe, non m’inviteranno più a partecipare al premio, nemmeno se scrivessi uno di quei romanzonio romanzetti che odio. Però potrò sempre dire, se mai un giorno dovessero candidarmi, che fino alla precedente edizione la pensavo così. «Ma adesso», affermerò convinto, «bè, adesso è tutto cambiato, molto migliorato questo importantissimo premio, ora sì che si può premiare lo scrittore più importante e che ha scritto il libro più bello, non uno di quei soliti libri abbastanza mediocri degli spesso mediocri scrittori che saranno letti da poche persone e poi verranno dimenticati per sempre. Ora sì che potete premiarmi, signori della giuria. E sono disposto a bere pure quel pessimo liquore davanti a tutti cercando di non vomitare».
Certo, in questo Diario si trova un po’ di tutto. Ieri la poesia di Margherita Guidacci, che stride non poco con ciò che avevo scritto il giorno precedente. Però questo diario deve essere proprio scritto in questo modo, innanzitutto di getto, e poi a una cosa meravigliosa può seguirne una ironica, polemica e anche una un po’ sciocca. Che poi è il mio stile, no? Mischiare l’alto e il bassissimo, la poesia celestiale e la faccenda indecorosa. Nella mio libro La piccola dea, del quale si possono qui nel sito leggere le prime pagine, ho scritto una prosetta che voglio andare a ritrovare. Mi serve per spiegarmi meglio.
La dimora degli stili
La dimora degli stili è in cima a una montagna. Molti s’avventurano per quegli impervi sentieri ma nessuno fino ad ora è riuscito a raggiungerla. Uno soltanto è arrivato ad osservarla da vicino, ma non è stato facile. Coraggio bisogna avere, purezza d’animo, anche soltanto per tentare.
Ricordo d’essermi incamminato un venerdì, in compagnia di Leo, il mio fedele cagnolino. Era una giornata di pieno sole. I ruscelli scorrevano placidamente nei loro letti argillosi e gli animali a quattro zampe, costretti a sostare eternamente nei recinti, belavano o nitrivano o muggivano con rassegnazione e senza alcuna invidia per le creature alate, più fortunate, che vagavano nell’aria.
Avevo riempito lo zaino soltanto col necessario: panini, thermos, gessetti colorati, un manuale d’alpinismo, due cornetti portafortuna, la pelle d’orso, l’oppio, il saggio di Aldous Huxley intitolato Le porte della percezione, i ricordi d’infanzia, la prima dichiarazione d’amore, i dischi per ballare i lenti, i brutti voti in matematica, un corteo studentesco con molotov e lacrimogeni, le cene di Natale coi parenti, le voci all’imbrunire mentre sulla città di mare la nebbia si stende come un velo, Parigi, camminare insieme a te lungo un grande viale alberato indossando buffi cappelli, un paio di comode ciabatte, le ciambelle preparate da mia madre, il Bhāgavata Purāṇa, quella scena di un vecchio film con Greta Garbo, quando lei entra in un bar e dice con la bellissima voce della doppiatrice italiana: «Ehi, uno scotch, e non essere avaro», e poi la calzamaglia di lana, il rasoio per tagliarsi eventualmente le vene, la scatola dei preservativi e la paura di morire. Nient’altro.
Partimmo presto e a mezzogiorno, già un poco stanco, dicevo a Leo, accarezzandolo sulla testa: «Chissà cosa fanno stasera in televisione…». Ma un compito nobile e difficile mi aspettava, una prova di orgoglio che ormai non potevo evitare. Ho percorso ogni sentiero, mi sono ritrovato al buio nella fitta boscaglia che circonda la zona montuosa, poi ho cominciato a salire ed eccomi finalmente quasi all’apice di tutte le fantasie possibili, dove si vede finalmente la forma perfetta, la semplice verità di tutte le cose.
È lassù, irraggiungibile: la dimora degli stili.