Stefano D’Arrigo. Abitava qui vicino, a meno di un chilometro. Quartiere Talenti. Case simili a questa dove sto io, costruite negli anni Settanta. Un quartiere tranquillo, per famiglie. Molto silenzioso durante il giorno, e la notte. L’ideale per uno scrittore. Luogo eccellente per affrontare i propri incubi. Nei piccoli giardini che circondano le palazzine (non più di quattro/cinque piani), gli uccellini si fanno sentire.
Abitava con la moglie e scriveva il suo libro, Orcynus Orca, per più di vent’anni. Lo scriveva e lo riscriveva, mai soddisfatto, cercando una perfezione impossibile, conducendo una battaglia perduta in partenza. L’editore Arnaldo Mondadori credeva in questo scrittore e gli pagava una rata annuale, sperando che concludesse il suo libro. Ma lui non lo finiva mai. Aggiunge pagine e pagine, poi le tagliava, ma poi le rimetteva. In quella casa silenziosa, scriveva tutto il giorno. Sua moglie lo rincuorava, lo assisteva in ogni modo, gli faceva da segretaria, da moglie, da infermiera, da cuoca, da amica confidente. Infatti il libro è dedicato a lei, con questa dedica: «a Jutta, che meriterebbe di figurare in copertina col suo Stefano».
Senza volermi paragonare a uno scrittore così importante, posso dire che la mia vita è stata e in parte è ancora molto simile. Anche io ho scritto per anni e anni La piccola dea, addirittura continuando a riscriverlo dopo averlo visto stampato. Non andava bene. Così ci ho lavorato, giorno dopo giorno, anno dopo anno, ma senza un editore che avesse fiducia in me e che mi pagasse una rata mensile (non l’ho mai nemmeno sognata una cosa del genere). Unici interlocutori, un paio di amici a cui davo periodicamente in mano il manoscritto giurando che era la versione definitiva e che potevano tranquillamente tenerlo tra i libri della loro biblioteca, anche se non era pubblicato, “per l’eternità”. Ma dopo un anno ritornavo dagli amici con un nuovo manoscritto. «Il giuramento dello scorso anno non vale più» dicevo, «è questa la versione definitiva». Alla fine non mi credevano più, però accettavano il manoscritto con rassegnazione e per gentilezza. Sapevano che tra un po’ di tempo sarei tornato con una nuova versione “definitiva”. Per un lungo periodo è stata mia madre la mia assistente e infermiera e segretaria eccetera eccetera (infatti il mio libro è dedicato a lei), ma quando è morta è stata sostituita da Teresa, che è stata la mia Jutta nella parte finale della stesura di questo mio libro che oramai è finito davvero. Non posso esserne assolutamente certo ma penso proprio di sì. Continuare a lavorarci significherebbe soltanto rovinarlo. Che sia un capolavoro o no, non importa. Adesso rimane così com’è.
Orcynus Orca, un romanzo visionario, carnale, mistico, apocalittico, molto vicino alla “poesia”… 1.265 pagine. Io per La piccola dea ne avrò scritte altrettante, se non di più, ma ho tagliato senza rimettere a posto, scritto e cancellato, definitivamente, ridotto all’essenziale, e poi questo essenziale l’ho ancora più ridotto, ancora e ancora, fino alle poche pagine che sono rimaste, un libretto in fin dei conti. Però sento questo scrittore come un fratello, un compagno d’avventura. Cercare la sfida, la perfezione impossibile, dedicare una vita intera a un solo libro.
Negli anni Ottanta, quando da non iscritto frequentavo l’università La Sapienza, non c’era studente o professore che non raccomandasse di leggere e studiare Orcynus Orca. Andava di moda, guai a non averlo letto. Era tra i libri da portare agli esami di letteratura italiana e all’esame gli studenti venivano interrogati su quello. Chissà che cosa avranno domandato i professori ai poveri studenti obbligati a leggerlo anche probabilmente non ci capivano nulla? Se qualcuno mi chiedesse adesso cosa significa, come è scritto, che cosa è, io non saprei rispondere. Forse di ogni opera veramente grande non si può dire nulla, ma per questo libro di D’Arrigo è quasi proibitivo. La critica, lo studio specializzato, di solito crea più domande di quante risposte riesca a dare. Certo, è giusto studiare, scrivere prefazioni, analizzare parola per parola, per carità!, ma l’essenziale sfugge e rimane, se rimane, nel cuore del lettore, come un segreto di cui è vietato parlare.