Storia di una merda
Ero una piccola merda. Lasciata lì, sul marciapiede. Piccola, indifesa. Frutto di un semplice bisogno fisiologico, di un gesto naturale come può esserlo il respirare, soltanto più indiscreto, materiale, imbarazzante. Una merda, nient’altro. Tutti mi guardavano con disprezzo… ma un giorno un poeta riuscì chissà come a notarmi. Forse perché il poeta – il vero poeta – è colui che tutto considera, che tutto contempla e che nulla giudica e condanna: amico davvero dell’universo intero, anzi di tutti gli universi possibili e immaginabili, compresi quelli paralleli o lontanissimi al di là delle galassie più lontane, ai confini dell’universo, chissà dove… partecipe e solidale alla vita degli uomini e degli alberi e dei fiumi e delle nuvole in cielo e degli esseri che volano o che strisciano sul terreno o che sguazzano in acqua e perfino delle pietre e delle cose inanimate… difensore dei giusti e degli assassini, dei ladri e dei derubati, dei potenti e degli indifesi e che riuscirebbe ad amare una pulce, un microbo, un virus pestilenziale poiché vede bellezza e verità in ogni aspetto del mondo e nulla potrà fargli cambiare idea, né miseria, né solitudine, né carestie, terremoti ed ogni genere di devastazione e di sciagura poiché nulla può toccare profondamente colui che accetta, che dice sì, che dice: è giusto e bello…
Perciò si accorse di me, il poeta; mi vide sul marciapiede e restò fermo a guardarmi. Che bisogno aveva di osservarmi? Nessuno. Che ci si può fare con una cacca? Quale interesse posso suscitare? Me ne stavo lì sul marciapiede davanti a casa del poeta, lui uscì e restò fermo immobile ad osservarmi un po’ chinato in avanti per contemplarmi meglio. Mi contemplava! Una cosa davvero assurda, certo, lo capisco benissimo…. Eppure è quello che lui stava facendo, per quanto sembri incomprensibile. Mi guardava con curiosità, immaginando chissà cosa.
Poi è tornato a casa e ha scritto questa paginetta. Tutto è vivo e degno di attenzione per il poeta, dunque anche una merda come me. Sarebbe capace di incuriosirsi e immaginare e far parlare anche il marciapiede che mi stava sotto. Infatti c’è riuscito. Leggerete qui sotto il dialogo tra una merda come me e un marciapiede. Non crederete ai vostri occhi. Eppure bisogna dire che c’è qualcosa di vero in questo colloquio.
Merda Scusami, sai, non volevo… non è colpa mia.
Marciapiede Ma figurati. Lo so che non è stata colpa tua.
Merda Sei molto gentile e comprensivo.
Marciapiede Prego, prego…
Merda Mi dispiace. Ti sto pesando?
Marciapiede No, no… è che l’odore è un po’ fastidioso…
Merda Che imbarazzo! Perdonami!
Marciapiede Tranquillo. È nella tua natura, d’altronde; che merda saresti se non puzzassi almeno un poco? Le merde profumate ancora non l’hanno inventate… Dai, lasciamo perdere. Bisogna rassegnarsi al proprio destino. Credi che a me faccia piacere essere ciò che sono? Sempre sotto i piedi di tutti, calpestato, sporcato dalle merde… scusa, sai, non mi riferivo a te… Ogni tanto mi ripuliscono e talvolta anche mi riparano ma nessuno pensa a me come a qualcosa meritevole di rispetto. Solo il poeta, ora, mostra interesse per me.
Merda Sì, certo. C’è il poeta, per fortuna. Che pensa di farti parlare, come pensa di far parlare me.
Marciapiede. È vero, hai ragione. Una grande fortuna per noi due.
Merda Effettivamente è una fortuna e una grande consolazione. Allora dovremmo ringraziarlo insieme, il poeta.
Marciapiede & Merda (in coro) Grazie, poeta!
Questo è il dialogo che si è svolto stamattina. Poi è arrivato il netturbino e mi ha spazzato via. A me, alla merda che sono. Ma resterà nei secoli – ma che dico, nei millenni – questo dialogo tra me e il mio amico marciapiede. Addio.
A proposito di merde, mi domando (anche per chiudere questo nauseabondo argomento), perché il mondo è pieno di stronzi?
Sì, non è possibile negarlo: pieno zeppo di stronzi. Ma il perché non lo so. Nessuno potrà mai riuscire a comprendere per quale ragione su questo pianeta esistano individui del genere. Come ad esempio quelli che spendono un sacco di soldi per comprare i fuoristrada di ultima generazione, enormi jeep, e invece di andarci nel Sahara o nel deserto del Gobi o in quello del Kalahari, li usano per lo shopping in Centro con il bel risultato di intasare ancor di più le già trafficatissime strade della città in cui mi tocca vivere. Tu questi stronzi li vedi transitare o parcheggiare in seconda fila completamente ignari della loro miserevole condizione intellettuale, per giunta sprezzanti, mentre giganteggiano pieni di vanità di fronte agli altri normali automobilisti o motociclisti o ciclisti eccetera.
Giorni fa me ne stavo fermo ad un semaforo rosso in sella al mio scooter quando è arrivata una di quelle mastodontiche automobili, quasi il doppio più grande delle altre e venti volte più della mia Vespa. Ho visto di cosa si trattava: era un Land Rover Defender, una cosa enorme, una specie di mostro. Ho potuto allora fissare negli occhi il guidatore, dal basso in alto, cercando di penetrare attraverso lo sguardo in quella mente devastata dalla pubblicità, dai bisogni indotti, dalle false concezioni della vita che vogliono fare della Terra un pianeta da conquistare e da consumare fino all’ultimo granello di polvere.
«Imbecille, oltre che grandissimo stronzo» gli ho detto telepaticamente mentre lui al di là del finestrino si godeva l’aria condizionata e la musica dello stereo a tutto volume, «stammi a sentire, voglio domandarti una cosa: come riesci a non comprendere di aver buttato dalla finestra quei soldi che avresti potuto impiegare in mille altre maniere più utili e divertenti? Che te ne fai di un bene materiale che tra un solo anno avrà dimezzato il suo valore? Dove cazzo ci devi andare con questa specie di autobus con le ruote giganti? In Africa? In Medio Oriente, tra Damasco e le rive del Mar Rosso? Allora vai, parti immediatamente e raggiungi uno di quei magnifici luoghi, e non rompere le palle qui!… Io ti imploro, non usare la jeep per correre lungo le strette e rinascimentali strade del Centro di Roma, non lo capisci che in questo modo non fai che aumentarne il caos?». Lui rimaneva in un suo imperscrutabile mutismo. «Lo so cosa stai pensando» ho continuato, «è per ragioni di spazio che te lo sei comprato, per questioni di comfort. Oh sì, certo: la moglie e i bambini… Cazzate. I tuoi bambini non hanno alcun bisogno di due metri al quadrato per stare comodi sui sedili posteriori durante le gite dei fine settimana o nei viaggi delle vacanze estive… Ascolta: ricordo benissimo quando mio padre ci portava, a me e alla mia famiglia, sulla mitica Opel Kadett 1000 di colore verdolino, su e giù per le strade delle Dolomiti, tra il ghiacciaio della Marmolada e il passo Pordoi. Me ne stavo lì con i miei fratelli, un po’ stretto ma tutto sommato abbastanza comodo su quei sedili di plastica mentre mamma e papà, che Dio li benedica, pensavano a tutto il resto. Noi tre figli eravamo relativamente felici a quei tempi e ci piaceva tanto scorazzare intorno alle montagne con quella macchina. Avevamo la netta sensazione di stare al sicuro, protetti, tranquillissimi di arrivare a destinazione, non solo perché nostro padre era un guidatore provetto ma anche perché quella Opel verdolina non ci avrebbe sicuramente lasciato nei guai. Mai papà se n’era lamentato, anzi non avevamo ascoltato altro che lodi riguardo alla sua affidabilità; e infatti quell’automobile ci portava dappertutto, perfino su strade sterrate, in cima ad alcuni passi dolomitici che a quei tempi, cioè verso la fine degli anni Cinquanta e i primi Sessanta, non erano ancora stati raggiunti dall’asfalto. Il bagagliaio era abbastanza grande da contenere tutto ciò che occorreva e nessuno di noi sentiva assolutamente la mancanza di spazi più ampi… Dunque, scusami, ma questa storiella dello spazio e del comfort non regge».
Ma il semaforo è diventato verde. A quel punto ho tirato fuori il fiato che avevo in corpo e senza più remore ho gridato: «Aspetta, stronzo, non partire! Ti devo dire ancora una cosa fondamentale, e cioè che puoi svegliarti da questo tuo sonno mortale, davvero puoi farcela! Esci dall’abitacolo, adesso, qui ed ora, e abbandona questo mostro meccanico insensatamente grande per andartene finalmente libero e spensierato. Sì, sì, è possibile! Qualcuno si occuperà di rimuoverlo, e probabilmente qualcun altro ti verrà a cercare, ma che importa? Tu ormai sarai già lontano, libero, felice vagando finalmente lontano dalla città, lungo verdissime valli e boschi incontaminati… Percorrerai le rive di torrenti e ruscelli e infine approderai ad un piccolo lago dall’acqua limpidissima dove ti chinerai a bere e dove poi ti tufferai, nudo, nuotando felice… E chissà, forse ad un tratto scorgerai una figura femminile poco lontano, tra gli alberi, una fanciulla bellissima che ti farà un enigmatico cenno con la mano prima di scendere anch’essa in acqua e venirti incontro…. Ma sì, sì, tu subito l’abbraccerai e lei sentirà la tua potente eccitazione da fauno silvestre e così vi amerete con mille giochi nella frescura del laghetto e tra le fronde degli abeti sotto un cielo chiaro e pulito… E allora cosa aspetti? Svegliati! Reagisci, coglione! Abbandona questo triste sogno di successo e di supremazia che ti rende schiavo ed entra in un sogno più bello e colorato! Ricordati cosa dice Gesù nel Vangelo di Luca (17, 33): “Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà”. Salva la tua vita perdendoti, deficiente! Ma se adesso non vuoi fare troppo casino, allora parcheggia questa mastodontica jeep e chiama il primo rivenditore di automobili usate per liberartene il prima possibile! Hai speso 30.000 o 50.000 euro e forse ancora di più, idiota che non sei altro, e però puoi rivenderlo e rifarci un po’ di soldi… Ma ti rendi conto cosa significherebbe risparmiare i soldi dell’assicurazione e del bollo e della benzina? Sarebbe prezioso denaro che potresti impiegare in mille altri modi. Ti prego, dammi retta, te lo dico per il tuo bene! Fermati! Aspetta un momento!… Aspetta, ritardato mentale!».
Lui senza degnarmi di un solo sguardo è ripartito, facendomi respirare abbondante gas di scarico.
«Che stronzo!» ho detto io.
D’improvviso, nel tetro silenzio di agosto, irrompono le voci dei bambini che abitano qui vicino, appena tornati dalle vacanze. Per favore, bambini, non andate più via.