Raggiunsi la Vespa, rimisi in testa il casco che era rimasto allacciato al manubrio, accesi il motore e mi avviai lungo la strada del ritorno. Il fascio di luce dello scooter, muovendosi nell’oscurità, illuminava l’asfalto della strada mentre risalivo verso Genzano transitando davanti alla fontanella dell’acqua di Egeria… Giunsi infine nel punto esatto dove m’ero fermato in mattinata a guardare per la prima volta i colori degli alberi e delle nuvole e del cielo riflessi sulla superficie dell’acqua.
Vidi il lago nella penombra, illuminato un poco dalla luna piena che stava sorgendo al di sopra delle case di Nemi. Restai a contemplare la bellezza tenue e indefinibile del paesaggio rendendomi conto che se fossi rimasto per un poco avvinghiato con lo sguardo a quei riflessi di luce lunare sull’acqua la mia vita sarebbe stata salva, perché solo da quella lucentezza poteva scaturire una qualche speranza. Da quelle semplici sensazioni derivava tutto ciò che mi avrebbe aiutato a vivere in maniera meno ignobile: il sentimento dell’armonia profonda delle cose, l’umana pietà, il civile desiderio di giustizia… anche la forza e la capacità di comunicare i miei pensieri scrivendo il libro su questo lago. Gli Dei non sarebbero morti del tutto se fossi riuscito a conservare almeno un poco di fede nella luce e nella bellezza.
Compresi dunque, una volta per tutte, che la più grande delle ricompense, per un essere umano dall’animo inquieto, consiste nel trovare lungo la propria strada un’occasione per sognare, cioè per amare.