21 agosto 2024

da | 21 Ago 2024 | Diario del re del bosco

così il sogno è per lui l’aurora dell’eternità 

Jean Paul

 

 

Non ci sono mondi, non ci sono sacre scritture, Dei, religioni, sacrifici,

non ci sono classi, tribù di famiglia, nazionalità,

non c’è alcun sentiero oscuro né alcun sentiero luminoso.

C’è solo la più alta Verità, il Brahman Assoluto.

(Avadhut Gita)

 

Mi ricordo un tema che mi dissero di svolgere in terza media, al Tasso, vicino a piazza Fiume, una scuola di un certo prestigio dove scrissero, su un libretto dedicato alla mia famiglia, dopo l’esame di terza media, che io ero un bambino con capacità di topo pratico e che avrei dovuto intraprendere un percorso scolastico di tipo tecnico scientifico (in sostanza, che avrei dovuto studiare per diventare ingegnere, o qualcosa del genere). Che lungimiranza, che intelligenza, che sensibilità in quei professori! Davvero avevano capito tutto di un ragazzino come me!

Comunque, tornando al tema, era questo, se ricordo esattamente (ma potrei sbagliarmi, ricordare male, inventare, divertirmi): «Quali sarebbero le tue reazioni se fossi rinchiuso vivo in una bara?».

Svolgimento:

Mi piace questo tema; curioso, e che apre interessanti prospettive. Certo, cazzo, vi sparate sostanze un po’ troppo forti ultimamente.

Allora cominciamo. «La vita corre, fugge via» ho detto al becchino ieri mattina mentre per gioco mi stavano calando nella fossa, «procede inarrestabile anche sotto questo sole di agosto ancora molto caldo.. L’estate tra poco terminerà a noi non resterà che tirare le somme. Richiudi senza esitare, amico, il coperchio di questa bara di legno pregiato. Il mio destino è compiuto».

Lui piangeva. Così il sottoscritto, non soltanto per consolarlo ma per il piacere di condividere una verità, ha aggiunto: «Bisognerebbe essere un fiore, un qualsiasi fiore, anche quello che vedo lì, a pochi centimetri dai miei occhi e che viene chiamato Lathyrus Odoratus. Multicolore, dal gambo lungo e sottile, e con un’ampia corolla. Vive lietamente tra un sasso e un cespuglio, nel fresco dell’erba. La sua esistenza è felice, poiché non ha bisogno di pensare e ricordare e tirare le somme. Se arriva un insetto e si posa su un petalo, avverte soltanto il frenetico movimento delle ali e delle zampe appoggiate sui tessuti, il pungiglione che penetra fino in fondo per scavare e spolpare… Tutto ciò potrei sentire anch’io se potessi essere un fiore sulla riva di un torrente. Purtroppo posso soltanto immaginare, ma immaginare, sognare, vuol dire vivere».

L’amico becchino, facendo uno strano sorriso e asciugandosi le lacrime, a questo punto mi ha domandato: «Tu vuoi dire che noi possiamo comprendere, sognando, la linfa che scorre lungo il gambo ed esplode nel fiore, il fremito della foglia, l’arsura del terreno in cui affondano le piccole radici e il sollievo indescrivibile della pioggia?».

«Esatto. Ma adesso vieni, c’è posto per tutti e due in questa tomba».

Così ci siamo ritrovati nel buio, buio fitto, dopo aver tirato sulla testa il coperchio della bara. Notai che, pur restando per lunghi momenti a contatto ravvicinato con il becchino, io non sentivo alcuno stimolo sessuale. Del resto, perché provare desiderio per un individuo brutto, basso e tarchiato? Avrei preferito avere vicino una bella ragazza, oh sì. È sempre meglio essere rinchiusi in una cassa da morto insieme ad una bella figliola piuttosto che con un uomo peloso e per giunta puzzolente, almeno per me!

Non avevo finito di parlare, avevo bisogno di aggiungere alcune personali riflessioni alle quali tenevo molto. «Vedi, imbecille che non sei altro» ho detto ancora, «abitualmente il cielo copre i nostri corpi come un manto lieve di gioia. Come fossimo bambini, e figli di un solo padre. (Cerca di seguirmi, perché queste cose non te le ripeterò mai più). Senza rendercene conto respiriamo le cose, tutte le cose, nell’aria del mattino. Il sole, infatti, è vivo. La campagna qui attorno è viva. Tu sei vivo. Scoperchiamo dunque la bara e usciamo fuori da questo tetro luogo, per giunta fasullo, nei quale però i nostri desideri sono veri anche se espressi in forma di canto o promessa o frase musicale e colorata… Non affliggiamoci più, te ne prego. L’aria è calda, la terra è calda. Andiamo, corriamo. Perché, vedi, come diceva Plotino (che era il fratello gemello, magro e piccolino, di quello grande e grosso e ciccione che tutti chiamavano Platone) non è l’anima a stare dentro i nostri corpi ma è il nostro corpo a stare dentro la grande, universale anima. Dunque siamo tutti dentro lo stesso ventre, e cantiamo. Anche se rimaniamo zitti zitti dentro una tomba, noi cantiamo. Lo senti? Il lombrico che striscia a pochi centimetri da qui, canta. Il fiore canta. L’insetto che si nutre del fiore, canta. La terra, nell’arsura o nel sollievo della pioggia, canta. Saremo presto cenere, ma questa cenere canterà… È questo il lungo canto del mondo che vive. Chiaro, no?».

C’era poca aria dentro quella tomba. M’era venuta anche fame. Abbiamo così  deciso che la sceneggiata poteva terminare. Siamo dunque usciti dalla fossa tra gli applausi del pubblico. La gente gridava: «Bravi, bravissimi! Nessuno come voi due sa dire quelle cose che coviamo dentro i nostri cuori!… Sciocchezze? Assurdità? Non ha importanza! Ci consola tanto ascoltare le parole che non riusciamo ad esprimere! Grazie! Grazie ancora e per sempre!».

Poi siamo andati a ritirare i soldi che ci spettavano. Ci hanno sempre pagato bene, in quel cimitero.