Poco prima dell’alba, trovandomi a poca distanza dal mare, andai a passeggiare sulla spiaggia. Al ritorno scrissi alcune poesie e cominciai perciò il libro intitolato La piccola dea. A causa dei continui ripensamenti e revisioni, impiegai vent’anni per scrivere e riscrivere una prima versione che l’editore Fazi pubblicò nel 2005. Uscirono recensioni elogiative di Marco Lodoli (la Repubblica), Carla Benedetti (L’Espresso), e di altri. Elogiativa al massimo grado era la prefazione al volume stesso, firmata da Emanuele Trevi.
Però non ero ancora soddisfatto e allora ricominciai a lavorare su ogni singola poesia, a rivedere i brevi e brevissimi racconti, le annotazioni autobiografiche, le prose poetiche… Cambiai completamente la struttura del libro, togliendo pagine che non mi piacevano più e aggiungendone altre, controllando e rifacendo ogni singolo rigo e verso.
Gli amici dicevano che era una follia; e va bene, era una follia, ma io continuai imperterrito. Non si trattava soltanto di un maniacale desiderio di perfezionamento: riscrivendo, riducendo all’essenziale, cercavo di comprendere il significato di questo mito personale, la piccola dea, e perciò della mia passione letteraria. Mi avvicinavo a me stesso, come in una specie di ascesi.
Adesso è cominciata la stesura finale di ciò che nel tempo è diventato il libro del libro, la poesia della poesia, senza per questo perdere l’originale ispirazione e necessità.
«C’è da dire che mi colpisce ogni discorso su qualcosa che sta per arrivare, che non ha ancora forma, ma sta per dispiegarsi e rivelarsi. Per esplodere. Il vento appena prima che si alzi il vento, l’aria che vibra prima del suono. Le ore che precedono l’emicrania. Gli stati larvali.
Così dice la poesia del mio amico:
La piccola dea
Vieni, canta, inizia la commedia!
Conosciamo ormai la tua mania,
Lo strano desiderio nel tuo canto:
Placida ondeggi e scivoli sui fiumi…
Ignota scena in mezzo alla foschia.
Ricominciamo il gioco, ritentiamo!
E finalmente giungano le risa
A noi che sulle fronde ti cerchiamo!
Chissà che faccia ha, la piccola dea, penso di notte prima di addormentami, mentre mi fumo un’ultima sigaretta al buio, disegnando dei circoli e dei rombi con la brace, chissà che tipo è, e se è bene intenzionata nei nostri confronti, chissà se saremo riconoscerla, e dirle una cosa adeguata e gentile, oppure sbaglieremo tutto, la faremo sorridere imbarazzata o arrabbiare di brutto…».
Emanuele Trevi, I cani del nulla, Einaudi 2003.
«Roberto Varese ci ha messo vent’anni per scrivere, limare, correggere in vario modo La piccola dea, l’indimenticabile libro che avete tra le mani. Ma non mi fido più di Roberto e non posso assicurare che questa sia in effetti l’ultima versione». (…)
Emanuele Trevi, prefazione a La piccola dea, Fazi 2005.
«Ci sono artisti vulcanici che ogni anno eruttano un nuovo libro, spinti dal piacere di scrivere, raccontare e confermarsi nelle patrie lettere, e altri – pochissimi – che per l’intera vita lavorano a un testo che sempre li lascia insoddisfatti. Roberto Varese fa parte di questa sparta famiglia. Accumulate in una torre vacillante, credo di avere almeno quindici versioni del suo unico lavoro, che mai diventava un libro definitivo. Confesso che dalla terza versione in poi non ho più letto niente aspettando il testo finale. “Ho cambiato un capitolo”, oppure: “Ho aggiunto una poesia, ma non sono ancora convinto”, mi diceva Roberto quando lo incontravo nel suo infinito vagabondare per le strade di Roma. Perché Varese è un consumatore di certezze e di suole, cammina per la città, la osserva, ammira le ragazze, entra nei bar e nelle chiese e intanto pensa a una virgola da spostare, a un aggettivo che – come il pisello della favola – gli impedisce sonni tranquilli». (…)
Marco Lodoli, La bella storia di un romanzo infinito, la Repubblica, 1 gennaio 1900
«Mi ha fatto pensare a che strana cosa sia lo scrivere, quando non si lascia mortificare nella dimensione meccanica richiesta dalla macchina editoriale. Un gesto comune e antichissimo, eppure stupefacente. Non per il genio o altre romanticherie, ma in quanto fatto di specie. È sbalorditivo che l’animale uomo abbia nel proprio bagaglio genetico questo impulso a fare germogliare le parole. Non dico ad usarle, ma a seminarle nel terreno della propria vita, come si fa col grano, per farne nascere qualcosa di organico. “Così nascono le parole, forme vive che germogliano nei nostri cuori e spuntano in superficie”. Quasi una struttura biologica in mezzo agli ogm del libro». (…)
Carla Benedetti, Piccola dea egoista, L’Espresso 2 giugno 2005.
«Saranno almeno vent’anni che il poeta Roberto Varese se ne va in giro per la città a mostrare la propria inclinazione alla meraviglia, alla gentilezza d’animo o forse soprattutto l’interesse alla poesia stessa, ossia l’osservazione pura e semplice delle cose. Spesso e volentieri mi capita d’incontrarlo sui bus che percorrono il Lungotevere, tipo il 23, all’altezza della Sinagoga, e alla domanda: “Roberto, dove sei diretto?” nonostante egli fornisca una risposta attendibile, ti viene il dubbio che in realtà se ne stia in giro a cavolo di cane, per il puro gusto della passeggiata, dell’osservazione degli altri. Delle ragazze, soprattutto… panorama letterario romano (e non soltanto) è la sua disarmante mancanza di ambizione borghese, Varese infatti, diversamente dai suoi colleghi, non sogna di fottere gli altri, non spera di accumulare uno sputo di potere presso i giornali o RadioTre o la rivista Nuovi Argomenti, potere che gli consenta di sentirsi mezzo gradino più in alto del vicino di sfiga, no, a Varese basta vivere punto e basta. In questo senso, c’è un passo del suo libro che merita di essere citato a tutti i costi, ed è quello nel quale il poeta Varese racconta l’incontro in piazza Barberini con “una bella signora che sul marciapiede lavora”, le spiega che “la vita è dura, bisogna essere previdenti. Quando i clienti non mancano i soldi vanno messi in saccoccia: d’inverno col freddo e la pioggia, restano a casa dalle mogli”. Cosa risponde alla mignatta e a se stesso il Varese? Risponde: ”Anch’io faccio così. A giornali e a riviste vendo articoli e recensioni, e quando incasso metto via perché so che arriveranno i rifiuti, le attese estenuanti nei corridoi delle redazioni, l’ansia e la depressione”. Così scrive Roberto Varese, e affinché nessuno pensi di avere a che fare con uno stronzo che si è montato la testa, aggiunge: “Mentre parlo mi rendo conto di avere i suoi stessi problemi, identici. Però mi sento moralmente un gradino più in basso”.» (…)
Fulvio Abbate, La piccola dea, L’Unità, 3 aprile 2025.