Come quella volta che, a cena da amici, uno degli invitati, un pittore, disse che Ringo Starr, il batterista dei Beatles, era il meno intelligente dei quattro, anzi uno stupido. Rimasi immobile, in silenzio, e sentii una fitta al cuore a cui non feci molta attenzione. Ma più tardi, a casa mia, avvertii un vero disagio, quasi un malessere fisico.
Quello lì aveva detto che Ringo era stupido. Non ci potevo credere.
‘Sta cazzata, è vero, l’avevo già sentita dire. Era una maldicenza, un’infame cattiveria dovuta all’invidia, all’idiozia e all’ignoranza umana. Si diceva così perché lui, il semidivino tra i quattro semidivini, aveva firmato soltanto un paio di brani, non era l’abituale autore delle musiche e delle parole come Paul e John e qualche volta George, e poi per carattere era più gioviale e spensierato e giocherellone rispetto a certe cupezze e seriosità degli altri. Si limitava a fornire la base ritmica dei brani con quella bravura e originalità e creatività che qualche milione di persone nel mondo gli ha riconosciuto.
Ma lui, il pittore, disse che Ringo era stupido. A distanza di anni dall’increscioso episodio, io, se ci penso, ancora mi sento male.