La zanzara, che per puro e semplice istinto riesce ad evitare i colpi della mia ciabatta ma soffre di vivere e forse vorrebbe morire e finirla con un’esistenza così schifosa, vola imperterrita nell’aria calda della mia stanza, facendo capriole nell’aria, planando un solo momento sul mio vocabolario, l’amato, vecchio Zingarelli. Rimane ferma, immobile per vedere cosa faccio, e io che posso fare? Allora mi costringe a riflessioni molto profonde, direi quasi filosofiche.
Medito sulla misteriosa volontà di Dio. Egli desidera che esista ad ogni costo lo stramaledetto insetto ronzante e pungente, questa succhiatrice di sangue ad oltranza, però custode e vestale del Corpo, che essa sollecita e tiene sveglio, in guardia contro tutte le piccole e grandi minacce.
Così la mia zanzara diventa ragione di speculazione e forse di salvezza. Eccola lì, sul vocabolario Zingarelli, quattordicesima edizione, 1978. Mi fissa… oppure fa finta di niente. No, no, mi fissa certamente. Avverte l’incombente pericolo, cioè la mia ciabatta che sta abbattendosi su di lei. Sono il suo Dio, e questo è il giorno del fine. Amata fine, sua unica amica. Infatti, mentre si diffonde nella stanza un celebre brano dei Doors, The end, io e lei ci prepariamo veramente a questo rituale, al sacrificio che si rinnova ormai ogni notte da quando è iniziata l’estate, questa estate, e la chiamano estate…
La mia ciabatta si alza, solennemente, nel silenzio della notte. Lei, la zanzara, è immobile. Dio, se esiste, vuole che si compia questo sacrificio: uccidere, uccidere, uccidere il prima possibile…. Perché si rispetti e si segua docilmente la forza che fa girare il mondo. Se invece Dio non esiste, tutto è vano e non c’è ragione di eliminare questa innocente e inutile succhiatrice di sangue umano. Ma io non posso vivere pensando che Dio non esista. Dunque, con tutta la mia poca fede delle due di notte, io farò scendere come una ghigliottina la mia ciabatta su questo essere vivente e dunque dotato, forse, di anima, che potrebbe perciò trasmigrare. Facciamo dunque partire l’anima imprigionata nel corpicino schifoso, facciamo un’opera buona.
La mia ciabatta, esattamente alle ore 2,14 del 16 ottobre 2024, scende come la spada di Damocle sulla copertina del vocabolario Zingarelli. Sprach! Il corpo della zanzara viene spiaccicato, il sangue schizza sulla scritta del volume, una A viene quasi artisticamente modificata sulla punta dal colore del pigmento naturale, che poi sarebbe il mio sangue succhiato poco prima, e ad eterna memoria quello sbafo, certo non pulirò la copertina del mio vecchio vocabolario.
Il rito è compiuto. La zanzara non era innocente e inutile. Dio esiste.
«Sei uno scrittore ancora acerbo nonostante la tua età non sia acerba manco per niente visto che ormai hai superato abbondantemente i sessantacinque anni». Questo mi ha detto la mia amica Rosy. Eravamo seduti al tavolino del solito bar di Val Melaina.
«Avresti del talento ma lo disperdi, lo vanifichi in queste paginette senza alcuna consistenza, senza una struttura, e l’idea di questo Diario del re del bosco è semplicemente ridicola. Tu vorresti che questi pezzettini che scrivi formassero, come in una specie di puzzle, un ritratto chiaramente percepibile di te stesso, ed invece il risultato è un caos, qualcosa che non ha alcun senso, insomma un autentico disastro».
Stavamo bevendo il caffè, Io stavo zitto. Allora Rosy ha proseguito il suo discorsetto. «E poi questo libro, La piccola dea: hai impiegato più di quarant’anni per scriverlo, e ora che cosa ci vuoi fare? E l’altro libro, Il re del bosco, che fine ha fatto? Lo stai riscrivendo? Lo finirai tra vent’anni?… Ah, ma a te non importa, vero? A te non importa mai di nulla. Sei superiore, tu. Però poi ti lamenti e ogni tanto, quando ti prende la crisi depressiva, mi dici che ti senti un autentico fallito».
«Sì, devo ammetterlo…».
«E sai perché ti senti un fallito? Te lo dico io: perché lo sei. E sempre lo sarai. Ah ah ah… mi fai ridere, anche perché altrimenti dovrei piangere. Fai ridere me, i tuoi amici, l’universo intero. Tu riusciresti a far ridere anche Nostro Signore se mai avesse voglia di occuparsi di un essere caduto così in basso, ma per fortuna non credo lo farà, altrimenti Gli verrebbe voglia di punirti e mandarti all’inferno!».
Poi ha chiamato Antonio, il barista, e sua moglie Franca, che sta alla cassa, che subito si sono avvicinati. «Sentite cosa sto dicendo a questo imbecille!» ha detto a quei due onesti lavoratori. «Secondo voi, non sarebbe meglio se andasse ad ammazzarsi? Proprio non lo capisco questo insistere a vivere ad ogni costo».
Loro tacevano. Allora ha continuato, rivolgendosi a me. «Bestia, ecco quello sei, nient’altro che una bestia. Non hai nemmeno il coraggio di togliere il disturbo. Stramaledetto da Dio e dagli uomini! Disgraziato!… Anzi, pensandoci bene, meglio che non t’ammazzi perché tu saresti tanto imbecille da farlo qui!»
«Ecco, proprio una cosa che vorrei evitare» ha detto il barista. »Ci mancherebbe soltanto questo!» ha detto la cassiera.
Allora Rosy, voltandosi di nuovo verso me, ha continuato a insultarmi. «Curati, vai in una clinica per malati mentali gravi, e una volta guarito vai a lavorare, ma su serio. E soprattutto smetti di scrivere. Ti prego in ginocchio. Guarda, ecco, sei contento ora che mi vedi prostrata davanti a te?».
Si era messa in ginocchio davanti a me. «Smetti di faticare inutilmente idiota! E per favore non mettermi dentro il tuo libro, non farmi fare la figura della stronza, non ho voglia di diventare un personaggio come hai fatto con questi poveracci». Antonio e Franca annuivano con la testa.
Allora si è rialzata e si è seduta di nuovo. «Ma che lo dico a fare, tanto ormai ci sono dentro, vero? Hai registrando nella tua testa bacata quello che veramente una volta ti ho detto per priportarlo fedelmente adesso in una cornice immaginaria come questo bar di Val Melaina… Disgraziato, lo so che in quanto autore tu puoi farmi dire ciò che vuoi, ad esempio che La piccola dea è un libro meraviglioso e che soltanto la povertà di questi nostri tempi impedisce al pubblico di conoscerlo, di apprezzarlo, ma che dico, di adorarlo. Certo, mi stai facendo dire ciò che desideri, vigliacco, e così magari noi tre diventeremo i protagonisti di una commedia intitolata Tre personaggi invece che due alla ricerca di un autore a Val Melaina. Divertente, vero?… Ma adesso la finisci di farmi parlare bene di te, eh?… maledetto falso ipocrita, ti rendi conto che è assurda questa cosa che stai scrivendo? Il tuo stato d’animo va su e giù come una barca in alto mare e dunque mi fai parlare bene o male di te a seconda di come ti senti… I tuoi stati d’animo sono estremamente variabili e perciò passi repentinamente dall’autoesaltazione ad una denigrazione in fondo eccessiva perché in realtà sei solo uno che cerca di scrivere una pagina decente in questo meraviglioso Diario che tutti dovrebbero leggere, grandi e piccini e che si merita una fama eterna. Diciamolo: sei uno scrittore grande, unico, e sarai immortale!».
Rosy si è alzata. Ha abbracciato Antonio e poi Franca, che avevano le lacrime agli occhi, non so bene per quale motivo. Non mi ha salutato. Mi ha guardato facendo una strana smorfia. Poi ha cominciato a ridere istericamente, mentre si allontanava.
«Mah, vai a capire le donne!» ho detto a me stesso, montando sulla Vespa per tornare a casa.