Ad un certo punto della mattina arrivano le odiose cicale, peste sonora dell’estate. Loro non vanno in vacanza. Ossessive, ripetono lo stesso suono per tutto il giorno, non si fermano mai le maledette. Ogni tanto, sì, una breve tregua. Ricaricano le batterie. Poi ricominciano.
Pure Virgilio, che pure amava tanto la Natura, nelle Bucoliche, esattamente nella seconda ecloga, scrive: sole sub ardenti resonant arbusta cicadis (cioè: sotto il sole ardente risuona dagli alberi lo stridulo canto delle cicale). Stridule cicale… Dunque rompevano il cazzo pure a lui.
Ferragosto è passato, per fortuna, ce l’ho fatta anche questa volta. C’è tempo prima che arrivi un’altra di queste feste comandate alle quali non si può sfuggire, nemmeno trasferendosi in un altro pianeta, lontanissimo, uno di quelli di cui parlano i libri sacri d’Oriente (il Ramayana, il Mahabharata, i Purana, i Veda): veri e propri paradisi dove si vive beatamente e a lungo, e in certi casi eternamente. Lasciando fuori i pianeti mediani, tra Cielo e Inferno come la Terra e quelli infernali, ai quale è meglio non pensare perché abbiamo già abbastanza cose infernali da queste parti, ne voglio citare soltanto un paio, i più importanti: Svarga, o Indraloka, che è la dimora dei Deva, insomma degli Dei, e poi quello che sta addirittura ancora più in alto, cioè il Brahmaloka, la dimora di Brahma.
Là sì che mi piacerebbe vivere. Ovviamente insieme a Teresina.