Granello dopo granello, svuoteremo la clessidra del tempo che ci è stato offerto, non richiesto. Così entreremo nel Dopo, che è un vasto mondo proibito a chi non ha mai abitato nel Prima, cioè i non nati, i non partecipanti, tutti coloro che non hanno avuto la fortuna (o la sfortuna) di essere stati chiamati (sarebbe meglio dire, strappati) alla quiete della non esistenza. Giunti ad un solo varco, entreremo ovunque. Ci aspettano gli angeli che si sciolgono in un sospiro, gli amici fraterni che ritroveremo come se niente fosse (infatti, quasi nulla è accaduto, soltanto un lampo tra il primo granello e l’ultimo).
Ma perché il Dopo si nutre del Prima? Ce n’era proprio bisogno? E a noi cosa ce ne viene in tasca?
«Tutte domande sciocche», dirà l’amico più caro che da tanto tempo ci aspettava. Passeggeremo con lui… che ora è diventato una specie di angelo vaghissimo, eppure vero, un occulto guizzo, una giravolta dell’anima.
Dunque non preoccupiamoci… Ecco, mi sembra che stia per cadere l’ultimo granello infilandosi nell’imbuto della clessidra, nella fatidica strettoia…
Ma no, abbiamo ancora tempo, evviva! Cavalchiamo i tristi pensieri, occupiamoci di questo Niente supremo, andiamo a fare una bella passeggiata!
Lei dorme.
Tutto il passato le torna davanti agli occhi in forma di suoni e colori, nel suo sogno al quale assisto senza vederlo, muto, fermo, immaginando.
Davanti a sé, lontano, vicino, a fior di pelle, come su uno schermo: l’infanzia, la giovinezza… Padre, madre, fratelli. La guerra, l’amore, mio padre… poiché lei che dorme è mia madre.
E poi, se andiamo più in là nel sogno: Allumiere e il Monte delle Grazie da cui si vedeva quando era bambina, e si vede ancora, tutto il mare fino in fondo all’Isola del Giglio, laggiù, nel suo sogno che io non vedo, qui, muto, immobile, però non cieco se riesco a immaginare.
Lei dorme e sfiora il mondo, lo lascia sullo sfondo del suo sogno. E laggiù, in fondo al mondo, sicuramente ci sono io, che ora la sto guardando mentre dorme. .
La gloria, il successo, la fama letteraria? Oh sì, come no. Però soltanto dopo morto. Altrimenti non c’è più gusto: detesto la volgare ambizione. Oramai conoscete, cari lettori di questo Diario del re del bosco, la mia aristocratica noncuranza, il mio olimpico distacco. Perciò, vi chiedo compostezza quando accadrà l’inevitabile. Niente isterismi. Certo, ai funerali di Stato vi toccherà andare, ci tengo alla vostra presenza.
Immagino già la scena, come la vedessi con gli occhi di un trapassato, dunque con il tipico distacco di chi si trova nell’Aldilà: che poi, quando sarò là, per me diventerà Aldiquà, e perciò l’attuale Aldiquà sarà l’Aldilà, chiaro no? Vedo la scena come se accadesse in questo preciso momento. Mattarella, il Presidente della Repubblica, scuro in volto, che scuote la testa rassegnato, anche se è difficile rassegnarsi in certi momenti, mentre una lacrimuccia gli scende sulla gota. Si vede in televisione che sta mormorando qualcosa tra sé e sé. Qualcuno riesce a leggere il labiale: «Non sono mai riuscito a comprenderlo fino in fondo e ora, ahimè, è troppo tardi!». Il Capo del Governo, Giorgia Meloni, si regge a malapena sulle gambe guardandosi attorno con aria spaurita. Il Ministro della Cultura, che non mi ricordo come si chiama, piange a dirotto sulla spalla di Vittorio Sgarbi, anch’egli inconsolabile ma con il volto raggelato in una smorfia di virile sopportazione.
Intanto il popolo, sul sagrato davanti alla basilica, rumoreggia inquieto. Qualcuno grida: «Santo subito!». La forza pubblica decide di transennare la piazza poiché le autorità non riescono a varcare il grande portone della basilica…
Ma il mio pensiero va a loro, ad ogni singolo componente la folla in attesa sul sagrato per un ultimo, lungo applauso. Mi commuovo, fin da ora, per te, umile casalinga che per un poco hai abbandonato i fornelli per venire a lanciare un bacio verso la bara, e anche per te, aitante manovale, che hai sospeso la dura fatica d’ogni giorno per sfiorare con la punta delle dita il legno che mi ricopre, e perfino per te, inappuntabile e infaticabile autista dell’azienda pubblica dei trasporti che hai lasciato in mezzo alla strada l’autobus stracolmo di persone (che dunque bestemmiano e battono i pugni sul vetro dei finestrini) per raggiungere le spoglie mortali di colui che è stato capace di donarti quella poesia di cui tanto avevi bisogno… Grazie, grazie a voi tutti che mi avete così tanto amato!
Ma, ecco, si apre il portone della grande chiesa e s’intravede il feretro che sta uscendo dopo la Messa. Un grande silenzio scende sulla piazza. La cassa da morto viene portata a braccia da alcuni dei più noti critici letterari. Li riconosco tutti… ma non faccio nomi altrimenti gli esclusi si potrebbero offendere. D’un tratto, sorge un brusio che presto si trasforma in affannoso grido comune e poi in boato. Ma cosa chiede il popolo quasi ribellandosi a quell’atroce evento? Ecco cosa dice, come un solo uomo, come una sola voce: «Varese, perché ci hai abbandonato?».
«Uno spettacolo indimenticabile, irripetibile» si leggerà il giorno dopo sul Corriere della Sera. «Mai s’è vista qualcosa del genere. La folla sembra impazzita. Idolatria? Forse. Ma in questi momenti anche chi scrive, devo confessare, si sta facendo prendere dall’emozione: sul taccuino cadono calde lagrime, mentre il cuore, diciamo così, sanguina senza sosta. Ma né lagrime né sangue devono bagnare la carta, oh no, poiché lui non l’avrebbe voluto. Ci avrebbe chiesto di essere forti e di continuare il nostro lavoro, che un tempo è stato anche il suo lavoro. Ebbene sì, dobbiamo continuare a descrivere ciò che è difficile raccontare a parole: non ci sono infatti parole che possano varcare un dolore vasto come il mare, grande come il cielo, immenso come questo mondo che adesso piange e piangerà per sempre il grande poeta».
Insomma, un funerale degno di me, che pure sono così schivo e non amo le lodi e innanzitutto rifuggo da qualsiasi forma di vanità personale.
Il corteo si muove tra due ali di folla. La banda suona una marcia funebre di straziante bellezza. Le donne, sui marciapiedi, vestite di nero, si strappano le vesti, si gettano in terra… La città si ferma. Ma che dico: l’intero Paese si ferma, il mondo intero. (Il presidente americano piange in televisione. Carlo, Re d’Inghilterra proclama il lutto nazionale. Miguel Mario Díaz-Canel Bermúdez, l’attuale Presidente di Cuba e perciò diretto successore di Fidel Castro, si accende il più grosso sigaro mai visto ed invita a prendersela con filosofia, ma si vede che dentro è distrutto). Ad un certo punto la polizia deve caricare e sparare lacrimogeni ad altezza d’uomo perché la folla pericolosamente s’avvicina alla bara con chissà quali intenzioni…
Ma basta, basta! Era soltanto per dire come io vedo la mia gloria postuma. Adesso arriverà l’infermiere per darmi le pillole. Io non vorrei prenderle ma qui in clinica mi hanno detto brutalmente: o le pillole o la camicia di forza. Allora io scelgo le pillole e faccio finta di non sapere le cose che so riguardo alla mia gloria postuma. So tutto ma sto zitto. Furbo, eh?