15 novembre 2024

da | 15 Nov 2024 | Diario del re del bosco

 

Vocabolario personale della lingua italiana.(Prima Parte). 

(Le cose non sono come le vedono tutti, ma cambiano a seconda di chi le guarda. Così cambia il significato delle parole. La parola casa vuol dire qualcosa di approssimativo che va bene per l’uso quotidiano che ne vogliamo fare. Ma quella stessa parola ha mille altri significati per ognuno di noi, se non ci accontentiamo e sprofondiamo dentro noi stessi). 

A.

abbastanza

Abbastanza vivo io sono, oh certo, ma forse per la legge del bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno, potrei anche dire molto semplicemente e direi quasi candidamente: abbastanza morto. Come appunto ci si sente nelle domeniche pomeriggio che ci tocca passare. Quella narcotica spossatezza che dobbiamo non alla stanchezza del lavoro ma al riposo stesso: alzarsi tardi con la testa vuota, leggere il giornale in piazzetta davanti al cappuccino, tornare a casa e mangiarsi un piatto enorme di pasta che ci lascia ripieni come un pollo… per riandare così ancora una volta a letto, ché c’eravamo appena svegliati, con quel languore che ci ha dato pure il vinello del Castelli che c’hanno regalato.

Poi, dopo la siesta ronfante e immorale, ci rialziamo e ricominciamo a svegliarci, col caffè, col doppio caffè… fino a quando, verso le sei del pomeriggio, ci ritroviamo davanti al televisore a guardare i gol delle partite di calcio. E allora lì è il culmine della dissolutezza domenicale. Ormai siamo cotti e stracotti, si potrebbe dire che abbiamo perso qualsiasi connotazione umana. Siamo bestie da campionato, ci si sveglia un attimo per un cross che sulla destra ha fatto delirare la folla, per il tiro in porta del supercampione che ha centrato l’angolino basso della porta. Siamo robot a cui hanno scollegato i fili, siamo ex uomini che si sono spinti troppo in là, verso gli orizzonti dell’Insensatezza e dell’abitudine domestica, nell’abisso domenica del Non Ci Sono Più e del Forse Non Ci Sono Mai Stato. «Sì, va bè», dice il mio vicino di casa che è venuto a chiedermi lo zucchero, e al quale ho accennato certi miei stati d’animo, «ma il Milan che fa?».

Quando a sera andiamo a portare giù il cane siamo veramente abbastanza vivi e abbastanza morti. Il cane alza la gamba, fa lo schizzetto, ficca il muso in ogni sporco angolino della strada. Ci sembra più cosciente di noi, più responsabile, più sveglio.

Poi sul divano fumiamo il sigaro toscano, che finalmente ci dà il tono giusto. Ecco, alle undici di sera cominciamo ad uscire da quell’orrendo stato psicofisico nel quale abbiamo vissuto per tutta la domenica. Ma ormai la giornata è trascorsa. Siamo stati abbastanza sciocchi da passarla in questo modo. Ma è questo il nostro destino. Perché siamo abbastanza sciocchi e pigri e vigliacchi e rinunciatari. E mai cambieremo.

 

abbandonato 

Lasciato solo in un angolo. Abbandonato da una donna, che perfida non si degna nemmeno di farci una telefonata, ben sapendo che soffriamo tanto (ma così deve essere, anche questo lo abbiamo imparato). Il cane abbandonato lungo la strada. Macché cane, addirittura il bimbo appena nato, già morto. Lo lasciano in un cassonetto. Lo lasciano lì, nella sporco dei rifiuti, rifiuto tra i rifiuti. Non ci può essere Dio, perciò, per quella carne lasciata ad imputridire. Eppure era nata per vivere, per muoversi, per crescere. Qui pare il nocciolo di tutto: la vita che vuole affermarsi e che nello stesso tempo nega se stessa. Scandalo supremo. La vita mangia se stessa. Entra ed esce. Luce o buio… Dove, dove può esistere una ricomposizione di questa frattura, di questo crollo universale? Lì, lì, in quella pattumiera pubblica, tra il vomito ripulito sul pavimento e l’avanzo marcito, lì, lì, il vero mistero, lì l’unico groviglio che siamo costretti a sciogliere.

 

abbagliare 

Come fanno gli occhi di lei, la superiora, l’inclassificata, la mairaggiunta e mairaggiungibile, che può darsi non esista realmente poiché nessuna donna esiste in quella forma stralunata e amatissima, sì, in quella maniera anche un pochino retorica in cui noi la immaginiamo. È un sogno, più che altro. Siamo grati a colei che, magari senza volerlo, riesce ancora ad illuderci, ad abbagliarci, a far germogliare queste parole nei nostri cuori ormai desertici, nei rari momenti di grazia. Entriamo in questi istanti e ci rinchiudiamo in essi, sprangando porte e finestre e lasciando là fuori la cosiddetta realtà. Così possiamo finalmente fiorire, o forse è più onesto dire marcire nel nostro sogno, cioè nel sogno dei suoi occhi che abbagliano. Poiché questo nostro sognare, sapete, alla fine ci porterà ad un culmine che è una catastrofe, un buon motivo per dannarci l’anima, però saremo felici per alcuni meravigliosi istanti (che non è poco).

 

abbigliamento 

Quel modo di vestirsi, il pantalone che arriva millimetricamente preparato sull’orizzonte micidiale del sedere per farci sbavare, a me e a tutti, perché tutto deve essere casuale, naturale, spontaneo, falso, ipocrita, meraviglioso, assurdo, ragionevole, una cosa da puttana, da santa, una cosa divina e da porcile. È giusto così.

 

abbacchiato 

Che sarebbe il marito a cui è stato detto per l’appunto che c’ha le corna. È senza dubbio abbacchiato. Anche se poi quello si può pure incazzare perché in effetti per quale ragione uno deve stare lì a sentirsi dire che la moglie è una un po’ mignotta e cose del genere… lei, la dolce mogliettina che, possiamo certamente supporre, non avrebbe mai pensato di commettere adulterio, oh no. «Ma c’è cascata» pensa lui, il marito cornuto che tutti noi potremmo a questo punto chiamare tranquillamente il cornutaccio, «soltanto perché ha trovato sulla sua strada di donna angelica ed eterea e immacolata un uomo cattivo che l’ha traviata». Sì, è verissimo, questo lo sappiamo, è lui che l’ha trascinata in quel baratro oscuro. La candida pura innocentissima mogliettina non ci avrebbe nemmeno lontanamente desiderato certe cose, nemmeno per un solo istante le avrebbe sfiorato la mente il pensiero e l’intenzione cosciente di venir meno agli obblighi e doveri di donna maritata e fedele. No, no, di certo no, possiamo dirlo con certezza qiasi assoluta. «È stata è colpa sua, di quel maschione» conferma il marito e cioè il supercornutaccio. Magari era uno di quel maschi incredibilmente dotati sessualmente che l’ha stuzzicata facendoglielo vedere e allora lei, poverina, dài e dài, c’è cascata, l’ingenua. Che sarebbe stata fedele e casta e devota solo al proprio maritino; ma se uno non la smette nonostante i dinieghi più fermi e invece insiste, insiste, insiste, cosa deve fare una povera femminuccia ritrovandosi a tu per tu con un affare del genere, eh?, me lo sapreste dire, miei cari lettori? «Pure una santa ci cascherebbe» risponde il Grande Cornuto, il Cornuto tra i Cornuti, premio Nobel per la cornutaggine, primo classificato al Campionato Mondiale dei Cornuti del 2024. «Ovvio, tutte le mogli ci cascherebbero…» ripete ossessivamente, poiché si è agitato e cerca di convincere se stesso e invece dovrebbe prendersela con filosofia perché è l’unica cosa da fare in questi casi, lasciatevelo dire da uno che c’è passato in situazioni del genere. In fin dei conti queste sono delle enormi stronzate e non c’è da soffrirci più di tanto, non ne vale proprio la pena. Invece il campionissimo dei cornuti, alla fine, s’è fatto venire l’ulcera. E va bè. Però se l’è meritato, questo bisogna dirlo.

 

abbacchiare 

Significa rendere triste, depresso. Come quando si dice qualcosa di spiacevole a un’altra persona. Tipo dire a un marito tradito di cui abbiamo parlato proprio adesso: «Tu c’hai le corna!». Lo fai diventare triste, abbacchiato, per l’appunto. Poiché è brutto sentirsi dire certe cose, oh sì.

 

abietto 

Ecco una parola che mi è sempre piaciuta. L’ho trovata sempre familiare. E poi io sono così, non posso negarlo. Cioè sono proprio abbietto. Infatti me lo dice sempre il mio vicino di casa, l’inquilino del quarto piano. M’incontra davanti all’ ascensore e dice: «Sei un essere disgustoso, ripugnante. In te l’abiezione raggiunge livelli impensati. Mi fai schifo. Susciti in me una ripugnanza talmente grande che io sempre ho conati di vomito quando t’incontro».

Allora io domando: «Ma scusami, perché?».

«Ah, il perché mi domandi, porco della malora” mi risponde lui, «e lo vuoi proprio sapere? Allora va bene, te lo dirò, sta a sentire, e intanto entra in ascensore… Tu sei un uno schifoso perché fai finta di essere un innocente, uno candido e puro, ma è soltanto un modo che hai inventato per stare comodo comodo a casa tua lontano dal mondo. Reciti la commedia di quello sensibile, che non viene a patti col mondo, che rifugge la fama, il successo, che non desidera diventare ricco, e invece tutte queste cose tu le desideri terribilmente ma forse così tanto le brami che ci rinunci per la paura di fallire e di ritrovarti scornato. E’ soltanto una mascherata la tua. Sei molto peggiore di quegli ambiziosi che vedi spesso per la strada. Con occhi come fessure, nervosi, ansiosi… No, tu non vuoi diventare come loro: preferisci rimanere placido, tranquillo, lontano da tutto e da tutti… Ma la tua è soltanto debolezza, falsità, pigrizia. Fai veramente schifo. Dai, spingi il tasto per il terzo piano, fai in fretta che mi fai vomitare!».

Arriviamo al terzo piano, lui apre a porta della ascensore ed esce senza nemmeno salutarmi.

Io arrivo al mio piano, entro a casa mia e mi siedo sul divano. Penso: e se avesse ragione?