15 dicembre 2024

da | 15 Dic 2024 | Diario del re del bosco

 

1.

Entro in libreria e trovo un volume pubblicato da una piccola casa editrice, una raccolta di versi «del più grande poeta thailandese» (così c’è scritto sul risvolto di copertina). Vengo a sapere, dalla prefazione, che Somak Sciwatra (questo il nome dell’autore), s’è fatto una decina d’anni di prigione in quanto oppositore del regime militare di quel Paese, poveraccio…

Ma dopo averlo comprato, leggo il libro, tremendo, dove l’impegno si mescola allo sperimentalismo letterario più audace (una specie di neoavanguardia thailandese) e perciò capisco la vera causa di quei lunghi anni di segregazione: la bruttezza di quei versi!

Eh, in Thailandia sì che ci sanno fare! Altro che polemiche prudenti, recensioni educate, come si usa da noi.

Me l’immagino il giudice di Bangkok al momento di pronunciare il verdetto: «Questo qui sarebbe il più grande poeta thailandese? Ma mi faccia il piacere… Portatelo via, ai lavori forzati! E mi raccomando: senza carta e penna!».

 

2.

Ho sognato Somak Sciwatra, il poeta thailandese. Anzi, il più grande poeta thailandese.

Sono nella mia stanza. Ad un tratto bussano alla porta. “Chi è?” domando. «Sono io» risponde una voce baritonale, con forte accento straniero. «Io chi?». Subito mi metto in allarme.

Silenzio pieno di angoscia.

«Non riesci proprio a immaginarlo?» dice la voce straniera, col tono sempre più basso, più cupo, «dài, non fare l’ingenuo… Sono io, il più grande poeta thailandese».

«Nooooooooo!». Grido come un pazzo, per farmi sentire dai vicini. “Che cosa vuoi da me? Non ho fatto niente! Aiuto, aiuto!».

Ma lui sfonda la porta, entra dentro e mi afferra con le sue grandi mani di poeta thailandese. «Stai calmo, caccoletta d’uomo» mi sussurra in un orecchio, tenendomi fermo, «non ti ucciderò come meriteresti. Voglio soltanto farti soffrire e ragionare un poco… Ti permetti di prendere in giro gli altri, ma tu chi sei per osare tanto? Te la sei presa con me perché vivo a Bangkok, ignaro di ciò che accade nel mondo e specialmente nell’amatissima Italia, perciò puoi sfogare vigliaccamente il tuo malumore, la tua invidia. Ti lamenti, ma in realtà delle questioni di cui parli non  t’importa un accidente, dì la verità, porco! Tu vuoi soltanto mettere zizzania, ridere alle spalle delle persone e sbeffeggiarle a tuo piacere. Ma ti informo che, se è vero che ho scritto quel poema un po’ pesante, di cui parlavi, in tutta Europa e negli Stati Uniti sono apprezzato per opere completamente diverse: ho pubblicato sonetti d’amore, epigrammi scherzosi, tragedie e commedie e perfino un romanzo… Tutti mi leggono e parlano bene di me, solo tu mi rompi le scatole!».

Quasi mi soffoca stringendomi il collo. «Ehi, Somak, attento, mi stai ammazzando…» riesco a dire con un filo di voce. «Non esagerare, io non  ce l’ho con te…».

«Ah no? E allora perché fai il porco?».

«Ma così, tanto per sfogarmi… Hai ragione tu, in fondo non me ne importa di cosa può scrivere o non scrivere uno come te…. Sì, è rabbia, cattiva digestione. Non arrabbiarti, in fondo siamo colleghi. Anche io provo a scrivere, lo sai? Conosco le difficoltà… e le conosco tanto bene che spesso prego Dio di farmi passare la voglia di farlo. Ma almeno fino ad ora non c’è riuscito nemmeno Lui a farmi smettere… mentre gli anni passano e i debiti crescono a dismisura e la saluta vacilla. Ti sembra logico tutto ciò? No, non è logico affatto, ma il fatto puro e semplice è che rinnegare se stessi è impossibile. Talvolta mi alzo dalla sedia e dico basta!, e me ne vado in giro per la città… Poi torno a casa e ricomincio a scrivere. Vedi, caro poeta thailandese, non ce l’ho con nessuno; io voglio soltanto sbirciare nelle fessure del cosmo e cantare, sì, con triste meraviglia. Non è importante ciò che dico ma come lo dico, il ritmo, la forza che ci metto. Allenta dunque la tua stretta, amico, fratello… Facciamo pace, abbracciamoci e torniamo alle nostre paginette, alle nostre poesie, belle o brutte che siano, alle nostre ingenue filastrocche. E soprattutto ridiamo, ridiamo tanto, che la vita è una strana e buffa cosa!».

Somak si asciuga una lacrima. «Mannaggia a te» dice tirando su col naso, «m’hai commosso con tutti questi discorsi… Mi dispiace di averti spaventato».

«Macché, non è niente» rispondo accompagnandolo alla porta, «è stato un equivoco senza importanza. Sei invece molto caro, molto affettuoso e comprensivo… Vai adesso, vai, che s’è fatto tardi… Sì, è tutto a posto… Ciao, tanti auguri… e mi raccomando, salutami tua madre!».