Conoscevo un ragazzo che abitava a Fidene, una vecchissima borgata romana, anzi un paesino che fino agli Sessanta era ancora isolato dalla città. Era una delle borgate più povere, e per molti aspetti tale è rimasta. Questo ragazzo veniva spesso a trovare un suo amico che abitava al Nuovo Salario, dove stavo anche io. Ci scambiavamo saluti e un po’ di chiacchiere. Poi scomparve per un paio d’anni. Mi dissero che si era trasferito altrove, al Nord e che di lui non si sapeva molto: aveva trovato lavoro, si era sposato e aveva avuto figli. Dopo qualche tempo lo incontrai per caso, qui a Roma, ci salutammo amichevolmente e subito gli domandai che fine avesse fatto. Mi disse che faceva il poliziotto, dopo aver vinto il concorso lo avevano subito mandato a Padova, al Reparto Celere.
«Ah, sei un celerino!» esclamai io allegramente, «uno del famoso Reparto Celere!».
«Eh sì» rispose lui. «Vedi, io sono contento adesso. Ho potuto sposarmi, avere una famiglia, e il lavoro non è poi così duro come si immagina. Ci chiamano per le manifestazioni, per il servizio d’ordine. Di solito non succede niente. Stiamo lì e questo basta. Soltanto con gli studenti dobbiamo usare le maniere forti, certe volte».
«Capisco…».
«Loro interrompono le strade, gridano insulti, lanciano sassi e fanno anche di peggio. Non come negli anni Settanta, è chiaro, però qualche auto danneggiata, i cassonetti dell’immondizia bruciati… Cose da poco, però noi dobbiamo intervenire. E allora qualche manganellata ci scappa. A me dispiace, ma che devo fare, è il mio lavoro».
«Ma certo che non ti devi dispiacere» dissi io, «anzi devi essere contento. Ti spiego perché. Gli studenti, come ormai è abitudine da decenni, devono vivere il loro periodo “rivoluzionario”, diciamo dell’impegno politico. È una questione di crescita personale. Sarebbe strano se non lo facessero. Allora vanno alla manifestazione e tu gli dai la manganellata, non troppo forte, per carità, ma che provoca una piccola contusione, un taglio sulla testa. Lo studente, di solito di famiglia borghese, torna nella sua elegante abitazione e mostra le ferite ai genitori, che in gioventù hanno fatto esattamente la stessa cosa. (Escludiamo però da questo discorso gli idealisti e violenti che si sono spinti molto oltre nel periodo più cupo dei cosiddetti “anni di piombo”). Allora viene curato amorosamente e con un certo orgoglio dalla madre. A cena il padre racconta al figlio di certe manifestazioni alle quali ha partecipato quando era ragazzo, le occupazioni delle scuole eccetera. La cena si svolge in un clima sereno e affettuoso. verso. Tutti sono contenti e rilassati, soprattutto l’eroe con la benda sulla fronte.
Tu, dopo il lavoro, torni a casa, che certamente non è la bella casa dello studente, comunque dignitosa. Ti aspettano tua moglie e tuo figlio piccolo. Sei un po’ stanco ma contento. Cenate anche voi in un clima sereno e tu eviti di raccontare delle manganellate perché ti dà un po’ fastidio. Però dimentichi presto tutta la faccenda. Terminata la cena, si va a letto. Insieme a tua moglie mettete a dormire il bambino e poi fate l’amore. Chi più felice di te?
Alla fine, vedi, tutti sono rimasti contenti. Le tue manganellate hanno contribuito alla crescita dello studente, lo hanno fatto diventare un poco più adulto, maturo. Ha sfidato il Potere, ha dato prova di coraggio. Il padre e la madre sono rimasti soddisfatti anche loro per il carattere deciso e combattivo del loro ragazzo e hanno anche avuto l’occasione di tornare per un momento alla loro gioventù, a Lotta Continua, al femminismo eccetera. Tu hai fatto il tuo lavoro, hai guadagnato onestamente quello stipendio che ti permettere di vivere onestamente, di avere una famiglia e una casa, dove vivi piacevolmente.
Perciò, vedi, puoi cancellare tranquillamente i tuoi sensi di colpa. Le tue manganellate hanno fatto del bene, hanno messo in moto un meccanismo che ha prodotto cose belle. Certo, devi andarci piano, calibrando la forza del colpo, mi raccomando!».
Il simpatico celerino mi ringraziò. Ci abbracciamo, con l’augurio di rivederci presto.