Questa cosa non l’ho letta da nessuna parte. Ho studiato un poco la faccenda, sono andato a cercare i testi, li ho confrontati, e perciò adesso pubblico la seguente riflessione nel mio Diario.
Ecco l’inizio del celebre romanzo di Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto (nella traduzione di Giovanni Raboni): “A lungo, mi sono coricato di buonora. Qualche volta, appena spenta la candela, gli occhi mi si chiudevano così in fretta che non avevo il tempo di dire a me stesso: «Mi addormento». E, mezz’ora più tardi, il pensiero che era tempo di cercar sonno mi svegliava; volevo posare il libro che credevo di avere ancora fra le mani, e soffiare sul lume; mentre dormivo non avevo smesso di riflettere sulle cose che poco prima stavo leggendo, ma le riflessioni avevano preso una piega un po’ particolare; mi sembrava d’essere io stesso quello di cui il libro si occupava: una chiesa, un quartetto, la rivalità di Francesco I e Carlo V.”. (Longtemps, je me suis couché de bonne heure. Parfois, à peine ma bougie éteinte, mes yeux se fermaient si vite que je n’avais pas le temps de me dire : «Je m’endors.». Et, une demi-heure après, la pensée qu’il était temps de chercher le sommeil m’éveillait ; je voulais poser le volume que je croyais avoir encore dans les mains et souffler ma lumière ; je n’avais pas cessé en dormant de faire des réflexions sur ce que je venais de lire, mais ces réflexions avaient pris un tour un peu particulier ; il me semblait que j’étais moi-même ce dont parlait l’ouvrage : une église, un quatuor, la rivalité de François Ier et de Charles-Quint.).
Ma Giacomo Leopardi, nel suo Zibaldone di pensieri (pagina 290 del manoscritto originale), scrive: “L’uomo non si avvede mai precisamente del punto un cui egli si addormenta, per quanto voglia procurarlo. Ora il sonno non è il fine della vita, ma certo un interrompimento e quasi un’immagine di esso fine, e se l’uomo non può sentire il punto il cui le sue facoltà vitali restano come sospese, molto meno quando sono distrutte”.
Infatti nelle Operette morali, esattamente nel Dialogo di Federico Ruysch e della sue mummie, possiamo leggere: “Ruysch. Mille domande da farvi mi vengono in mente. Ma perché il tempo è corto, e non lascia luogo a scegliere, datemi ad intendere in ristretto, che sentimenti provaste di corpo e d’animo nel punto della morte. Morto. Del punto proprio della morte, io non me ne accorsi. Gli altri morti. Né anche noi. Ruysch. Come non ve n’accorgeste? Morto. Verbigrazia, come tu non ti accorgi mai del momento che tu cominci a dormire, per quanta attenzione ci vogli porre. Ruysch. Ma l’addormentarsi è cosa naturale. Morto. E il morire non ti pare naturale? mostrami un uomo, o una bestia, o una pianta, che non muoia.”.
Dunque mi sembra che Proust abbia commesso un errore.
Allo stesso modo di quando ho notato, soltanto io, che la targa commemorativa della casa dove ha abitato Ennio Flaiano è stata posta tra due numeri civici, sopra un muro che divide esattamente due palazzine, per cui non si capisce dove stava la casa, non so se congratularmi con me stesso o spaventarmi.