Tito Labieno, l’oratore e scrittore romano che si ammazzò quando seppe che il Senato aveva decretato il rogo di tutti i suoi libri, ai tempi dell’imperatore Cesare Ottaviano. I libri erano la sua vita, dunque era come se avessero deciso la sua morte. Perciò andò alla tomba di famiglia, l’aprì e ci si mise entro, lasciandosi morire di fame e di sete.
Tutto ciò a differenza dei grandi poeti e letterati dell’ambiente di Mecenate, vicinissimi perciò all’imperatore, ad esempio il sublime Virgilio. Grandissimo poeta ma così leccaculo da mettere il nome di Augusto nei versi delle sue opere.
Cosa dire in proposito? Ha fatto bene Virgilio? Senza l’imperatore non avrebbe potuto vivere, cioè vivere scrivendo. Ma certo è ammirabile la scelta di Labieno, una specie di eroe per tutti quelli che si trovano a disagio nell’onorare, nel lusingare, nel tacere quello che pensano.
Nota curiosa. Io non avevo mai sentito parlare di Tito Labieno (da non confondersi con l’omonimo geberale di Giulio Cesare), finché una sera ho trovato la sua storia riferita in poche righe nella rubrica della Settimana Enigmistica Non tutti sanno che…, è questo il riconoscimento attuale di questo martire della verità e della dignità intellettuale.